24.11.2018 | Vino e dintorni Inserisci una news

Una riflessione sul concetto di confine per parlare di "vini di frontiera"

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Nella foto: Josko Gravner tra i vigneti della sua frontiera enoica

L'argomento confini è oggetto di disquisizione tra chi sostiene che i confini siano linee immaginarie che intrappolano persone reali e intonerebbe volentieri il vecchio canto "Nostra patria è il mondo intero" e chi invece è favorevole alla protezione, all'innalzamento di muri, alla chiusura.

Lungi dal voler fare un discorso politico-ideologico, voglio semplicemente esprimere, argomentando, il mio punto di vista, funzionale a trattare alla fine dei conti ciò che mi importa e mi preme di più in questa sede, ossia la materia enoica.

Le zone di frontiera sono piene di contraddizioni. Da un lato sono curiose di ciò che accade al di là del confine e in esse avvengono scambi culturali; dall'altro però sanno anche chiudersi a riccio. Prossimità non fa sempre rima con effettiva conoscenza e imparare dagli altri.

Il territorio di confine fra Italia e Slovenia racconta molto sul nostro passato, attraverso ciò che rimane di torrette abbandonate che narrano della convivenza fra l'Occidente alleato della NATO e l'Oriente socialista, dei militari che si spiavano con i binocoli da ambo i versanti, dei controlli alla dogana, dei contrabbandieri e di qualche schioppettata. Da Gorizia in Slovenia ci vai a piedi in cinque minuti. Il confine fisico, che un tempo era di filo spinato e oggi non esiste più, fu tracciato al termine della Seconda Guerra Mondiale dagli Alleati tagliando in due case, proprietà, famiglie. C'erano persone che avevano casa sul confine e per andare a lavorare la terra dovevano passare la frontiera tutti i giorni. Avevano un lasciapassare che consentiva loro di muoversi entro un determinato raggio di chilometri e ogni volta dovevano esibire il timbro, sia in entrata, sia in uscita. E' il caso, ad esempio, dell'azienda vitivinicola Blažič, i cui terreni, acquistati dal capostipite della famiglia alla fine del XIX secolo, si ritrovarono tagliati in due dal confine alla fine della guerra: casa e cantina in Jugoslavia, vigneti in Italia. Ma il Collio italiano non ha nessuna differenza con il Brda, il Collio Sloveno. La piattaforma ampelografica è la medesima, come pure, a grandi linee, gli stili di vinificazione. Oggi, la bellissima piazza centrale di Gorizia non è più attraversata dalla frontiera, c'è solo un mosaico sul pavimento a ricordarla e vi si può camminare con un piede in Italia e l'altro in Slovenia.

Ogni frontiera reca seco tensioni, sia passate, sia attuali, e storie. Gli antropologi che si occupano degli studi delle frontiere parlano di come in alcuni casi l'arbitrarietà dei confini tagli in due parti territori abitati dallo stesso gruppo etnico. Ci sono confini particolari, addirittura strani. Non è raro riscontrare che nel giro di pochi metri più paesi si possono tangere in un unico punto. Alcuni esempi? Il confine tra Grecia, Bulgaria e Macedonia nei pressi della catena montuosa della Belasica; a Cunovo, un piccolo villaggio con poco più di mille abitanti, si trova il confine tra Austria, Ungheria e Repubblica Slovacca; a Basilea, in Svizzera, è il fiume Reno a segnare il confine tra altri tre Paesi: Germania, Francia e Svizzera; sulla collina del Vaalserberg, a poco più di 300 metri di altezza, c'è, nella regione del Limburgo, il confine tra Germania, Belgio e Paesi Bassi; in un parco naturale della Renania, un monumento, l'Europadenkmal, segna il confine tra Germania, Belgio e Lussemburgo; a più di 2.800 metri di altezza, sul monte Roraima, c'è il confine tra Brasile, Venezuela e Guyana; tra Paraguay, Argentina e Brasile sono due fiumi a dividere le Nazioni: l'Iguazu e il Paranà. Con tre città diverse nate proprio lì: Ciudad del Este (Paraguay), Puerto Iguazú (Argentina) e Foz do Iguacu, in Brasile; c'è poi un posto dove i Paesi che si intersecano sono addirittura quattro: si chiama Quadripoint e si trova in Africa, alla confluenza tra i fiumi Cuando e Zambesi. Qui Namibia, Botswana, Zambia e Zimbabwe si guardano in faccia. E quelli più strani? Tra Olanda e Belgio una linea di mattonelle divide, tra i tavolini di un bar, la città fiamminga di Baarle Hertog da quella olandese di Baarle-Nassau; a Derby Line, nel Vermont, una striscia di vernice bianca sull'asfalto divide gli Stati Uniti dal Canada; si può passare dalla Germania all'Austria attraverso una vecchia e dismessa miniera di sale a Bad Dürrnberg, un vecchio paesino minerario nei pressi di Salisburgo. Oggi un trenino porta i turisti all'interno della miniera; le isole Diomede, nello Stretto di Bering, rappresentano il confine tra Stati Uniti e Russia: da un lato due isolette in territorio americano, con un paesino con un centinaio di anime, dall'altro un'isola in territorio russo, disabitata; a Treriksröset, in un punto all'interno di un piccolo lago, si incontrano Svezia, Norvegia e Finlandia. Nel giro di pochi metri è possibile sconfinare più e più volte; infine, a Zavicon Island, un ponticello collega due isolette, una canadese, l'altra americana.

Poi ci sono "frontiere" interne non propriamente tali, testimoniate in Italia dalla presenza di regioni storiche e parlate dialettali, che in senso lato dimostrano la frequente inconsistenza dei confini, con città a cavallo di due culture regionali: Piacenza, Novara, Rovigo, Pesaro, Massa e Carrara, Ascoli Piceno...confini amministrativi che separano terre affini tra di loro e ne uniscono di diverse, fatto dimostrato dai numerosi referendum comunali per chiedere il passaggio da una regione all'altra, alcuni andati a buon fine, come quello dei comuni dell'Alta Val Marecchia, passati dalle Marche all'Emilia Romagna, o quello di Sappada, comune passato dal Veneto al Friuli Venezia Giulia, altri no, come Verbania, rimasta in Piemonte e non passata alla Lombardia. Nello specifico caso italico, tralasciando esempi europei come il mix etnico nei balcani o la particolare situazione del Belgio, penso che ciò derivi dall'istituto giuridico delle regioni. Già ai tempi di Augusto il territorio della penisola fu suddiviso in undici regioni, numerate e senza nomi, alcune delle quali già assomigliavano a quelle attuali, altre decisamente no. Dopo un vuoto di secoli successivo alla caduta dell'Impero Romano, ai tempi dell'Unità d'Italia si ricominciò a ragionare sulla suddivisione delle regioni, perché all'epoca il territorio era suddiviso in province e comuni. Ufficialmente le regioni sono state create con la Costituzione, ma non hanno avuto potere fino al 1970.

Sulla base di questo ragionamento e di questo discorso, ho individuato, stilando un elenco, zone in Italia che a mio avviso rappresentano delle frontiere, dei confini interni dal punto di vista vitivinicolo:

- La zona dei Nebbioli di montagna, dalla Bassa Valle valdostana alla Valtellina, passando per l'Alto Piemonte

- L'area pedemontana torinese di lingua occitana

- La macrozona che dall'Alto Monferrato va ai Colli Piacentini, passando per l'Oltrepò Pavese

- La zona del Garda

- Lugana e San Martino della Battaglia

- Il Mantovano

- Le zone della Valdadige e della Terra dei Forti

- La Valle Isarco e il Lago di Caldaro

- Lison Pramaggiore

- Il Collio e il Carso

- L'Ormeasco

- La zona di coltivazione del Pignoletto e dei suoi cloni tra Castel San Pietro e i Colli di Rimini

- Il Bosco Eliceo

- I Colli di Luni e i Colli Apuani

- La zona della coltivazione del Grechetto a Cortona e in Val di Chiana

- Le zone in Umbria influenzate dai vitigni toscani

- L'Orvieto

- Maremma e Tuscia

- La Marca Pesarese

- Le zone di coltivazione del Pecorino e della Passerina tra Marca Ascolana e Abruzzo

- Le terre dell'Aglianico

- Il Materano

Non so se avrò mai il tempo di trattare gli argomenti sopraelencati in tutto o in parte, per il momento rimangono l'idea progettuale e l'intenzione. Se avete osservazioni, suggerimenti o critiche, fatemelo sapere nei commenti. Grazie.


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