Nell’attuale grave recessione economica
bisogna evitare di sacrificare troppo la crescita
del prodotto interno lordo per risolvere
i non prevedibili grandi problemi climatici
che potrebbero colpire il pianeta fra 30 o 40 anni
agenda scaturita dal G8 de L’Aquila
prospetta pesanti impegni per
l’agricoltura mondiale, europea e
italiana.
Due sono i principali fronti
aperti: contenere l’aumento delle
temperature entro i due gradi
centigradi rispetto al livello
preindustriale e ridurre entro il 2050
del 50% (80% e oltre per i Paesi sviluppati) le immissioni di
biossido di carbonio e di gas serra; contrastare l’instabilità
dei prezzi dei prodotti agricoli e sbloccare i negoziati del
Doha Round volti a ridurre il protezionismo e ad aprire i
mercati alla concorrenza, soprattutto a quella esercitata
dai Paesi più poveri.
Queste strategie sono largamente influenzate dalle
previsioni sul cambiamento climatico globale e da quelle
sull’andamento dell’economia mondiale alle prese con
una delle più gravi ed estese recessioni.
Ho una brutta notizia: le previsioni degli esperti
non hanno maggiore attendibilità di quelle che potrebbe
formulare una persona qualsiasi che mi sta leggendo in
questo momento, o il primo che passa.
Purtroppo alla brutta notizia ne segue una peggiore:
loro (gli esperti) non lo sanno. L’impossibilità di prevedere
il futuro è suffragata da un’infinità di fallimenti in molti
campi, che vanno dall’andamento della Borsa, passano
attraverso l’entità e la durata dei conflitti nazionali e
internazionali per finire al successo di un nuovo comico
televisivo.
Il meccanismo che alimenta false aspettative
sulla possibilità di conoscere il futuro presenta aspetti
inquietanti. Prendiamo ad esempio il clima: le attività
produttive dell’età industriale aumentano il contenuto
di CO2 nell’atmosfera, che causa l’aumento della
temperatura del globo, che provoca gravi danni alle
popolazioni (tempeste, alluvioni, desertificazione e
catastrofi varie).
Questa narrazione, essendo semplice, molto
accattivante e facile da ricordare, diviene ben presto
molto popolare. Succede così che i mezzi di informazione
di massa e scientifici collezionano tutti i fatti che
supportano questa tesi, trascurando la enorme mole di
quelli ininfluenti, o che addirittura la contraddicono.
Gli esperti, che per dovere professionale sono molto
bene informati, traggono dall’analisi dei dati così raccolti
conferma dell’ipotesi di partenza, magari con l’ausilio
di sofisticate elaborazioni statistiche sviluppate su
ultramoderni calcolatori. Si arriva così alla conclusione
assurda che più aumenta la conoscenza più diminuisce la
capacità di prevedere il futuro.
Lo stesso meccanismo si ripropone per tutti gli ambiti
(compresi quelli economici e finanziari) dominati da fatti
del tutto imprevedibili. I cosiddetti esperti sono i primi a
cadere nella trappola, spesso, ma non sempre, in buona
fede, in quanto sono dotati di un’esagerata autostima e
forse anche perché sono più o meno lautamente pagati
per fare previsioni.
Sono certo che se facessimo un’indagine
scopriremmo che oltre il 92,7% dei professori universitari
(compresi gli economisti agrari, tra i quali vengo
solitamente incluso) ritiene di appartenere al 50% dei
migliori e probabilmente anche dei più simpatici. Una
volta scoperto l’inganno, non è che possiamo fare molto
per cautelarci da un futuro incerto, ma forse possiamo
trarre qualche vantaggio seguendo tre semplici consigli.
Primo: rifiutare di pagare un prezzo eccessivamente
elevato per acquistare un biglietto di una lotteria della
quale si può (forse) sapere l’entità del premio, ma non si
ha alcuna idea sul numero dei biglietti venduti. Andando
al concreto problema del cambiamento climatico, bisogna
stare attenti a non sacrifi care oggi troppi punti di pil
per risolvere tra 30 o 40 anni gli imprevedibili grandi
problemi del pianeta.
Secondo: sfuggire alla tirannia dei mezzi
d’informazione e cercare di conservare la mente aperta
per cogliere ciò che di nuovo e di fuori dagli schemi il
futuro ci può riservare.
Terzo: evitare di sperperare soldi per farci dire dagli
esperti ciò che sappiamo che assolutamente non possono
prevedere.
Può essere al contrario più utile e piacevole
frequentare, possibilmente a cena in qualche ottimo
ristorante, persone di buon senso, abituate a prendere
decisioni che hanno una diretta connessione con il loro
portafoglio e con il loro benessere.
Concludendo, in molti ambiti (cambiamenti
climatici e crisi economiche comprese) le previsioni
degli esperti hanno la stessa attendibilità degli oroscopi,
ma in compenso costano di più e possono procurare
molti più danni.
( Fonte Informatore Agrario )
Osservazioni di Winetaste
Non è mia abitudine riprendere articoli di altri per poi commentarli, di solito lascio sempre al lettore questa opportunità, in quanto ritengo sia meglio che ognuno giudichi con la propria testa e tragga le proprie conclusioni, su ogni argomento qui trattato.
Ma letto l’articolo di cui sopra, ho fatto letteralmente un sobbalzo sulla sedia :
“Nell’attuale grave recessione economica
bisogna evitare di sacrificare troppo la crescita
del prodotto interno lordo per risolvere
i non prevedibili grandi problemi climatici
che potrebbero colpire il pianeta fra 30 o 40 anni”
Posso condividere il fatto che molto spesso, anche gli esperti prendono cantonate, ma sostenere che se continuiamo di questo passo non distruggeremo il Pianeta e che è meglio NON SACRIFICARE LA CRESCITA DEL PRODOTTO INTERNO LORDO…..ECC. mi sembra una grossa sciocchezza.
Chi ha superato i 50 anni, come chi Vi scrive, si ricorderà da bambino come era la natura che ci circondava. Personalmente sono nato in un paese del Delta, attraversato da un fiume che sfocia al mare dopo solo 15 km. Quel fiume , il Po di Volano, era pieno di pesci di ogni specie, l’acqua pulita che ci potevi fare il bagno, quel fiume era la mia infanzia, quelle acque i miei sogni, i miei giochi di bambino. Su quel fiume viveva un pittore, che aveva fatto la sua casa in una grande imbarcazione, e noi bambini passavamo interi pomeriggi a pescare lungo le sue sponde, ed il pescato era sempre abbondante e di prima qualità.
Ora quel fiume non esiste piu’, sembra una fogna a cielo aperto, le acque scure, dei pesci è rimasto ben poco e tutto ciò a cosa lo dobbiamo ? Lo dobbiamo all’inquinamento delle campagne, agli anticrittogamici, a tutte quelle operazioni insensate ed incoscienti che abbiamo messo in atto negli ultimo 50 anni, proprio in nome del “ prodotto interno lordo “. E’ anche troppo tardi se in questo preciso istante diciamo “ BASTA “ la misura è colma : dobbiamo pensare con la massima urgenza ( se non sarà già troppo tardi ) ai nostri figli ed ai nostri nipoti, diversamente lasceremo loro una grande fogna , quale sarà diventato il nostro ambiente, ed in questo contesto la vita non sarà piu’ a misura d’uomo….anzi….
Meglio quando il frigorifero era un tantino piu’ vuoto, ma l’aria era davvero molto piu’ respirabile, in ogni senso !
Roberto Gatti
Tag: winetaste, gatti, agricoltura, inquinamento, anticrittogamici, pil, informatore agrario