09.03.2009 | Vino e dintorni Inserisci una news

Che fine ha fatto l’autenticità del Sangiovese?

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Solo una riflessione a voce alta su cose apparentemente incomprensibili su una terra che molto amo e amerò per sempre nonostante tutto: la Romagna.

Non nasce da vis polemica la riflessione che segue ma da un riverbero di pensiero, un po' etilico se volete, a riguardo di un vino che ho assaggiato (si veda la scheda di degustazione nella rubrica a fianco). Un vino “importante” che ha preso i tre bicchieri nella famosa guida del Gambero Rosso. Il vino in questione è per l’appunto il Michelangiolo ‘05 dell’azienda Calonga di Forlì, un prodotto di cui si sente parlare spesso tra gli “appassionati” del vino e un po’ meno tra chi il vino, invece, lo vive quotidianamente per lavoro. Non si capisce perché dopo tutto un gran parlare di territorio, zonazione e selezioni clonali, per meglio identificare il sangiovese di Romagna al suo territorio specifico, si continui a premiare una siffatta tipologia di vini.
Intendiamoci, questo vino non ha difetti particolari che lo rendano spiacevole, anzi... tuttavia sembra una “presa per i fondelli” per il consumatore, che si trova a spendere una bella cifra per un prodotto opinabile.
L’altra perplessità che sovviene alla mente è legata all’etichetta, non tanto a ciò che recita: sangiovese di Romagna ma a ciò che contiene o dovrebbe contenere... Non v’è certezza ma una domanda sorge spontanea: sarà tutto sangiovese? Forse no, giacché all’assaggio il vino non sempre risponde alle caratteristiche fondamentali del vitigno in questione ma, invece, esprime una ridondante presunzione che ricorda i soliti vitigni francesi.
La cosa ancor più contraddittoria è che fuori dalla Romagna si crede che il Michelangiolo rappresenti una tipica produzione del territorio. Vien da pensare che forse chi ha assaggiato per la celebre guida enologica ha preso un abbaglio. Succede. Magari chi ha degustato ha pensato all’evoluzione di un vino che sicuramente migliorerà, perlomeno in armonia. Speriamo. Ma la cosa più spiacevole è leggere in etichetta “sangiovese” anche se non si percepisce bene dove sia. Mi chiedo qual è l’inghippo sempre che tale si possa chiamare. A me, lo ribadisco, è apparso un vino pesante e squilibrato al naso, scomposto al palato che sa più di cabernet e merlot che sangiovese: ruvido e poco elegante. Se poi il costo varia dai 20 ai 30 euro (in enoteca o ristoranti), credo si debba porre la questione dell’autenticità. In Romagna si possono trovare vini più virtuosi in termini di eleganza, equilibrio, tipicità e …digeribilità. A prezzi più contenuti.
Si parla tanto della Romagna del sangiovese, del valore del territorio ma si resta interdetti di fronte ad esperti e degustatori di reale esperienza che commentano divertiti le produzioni di una Romagna ancora da scoprire. Il produttore è legittimato a inseguire il mercato, ha tutta la stima del caso, ma anche l’autenticità è un valore da perserguire. Una brano di liscio decanta “la Romagna e il sangiovese”: di questo passo, alle feste paesane si inizierà a cantare “Romagna e cabernet”?


Tag: Romagna;michelangiolo;fabiomagnani; sangiovese;


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