Partiamo dal presupposto che degustare è
diverso da bere e chi beve non è interessato alla qualità
ma bensì al suo opposto e ognuno beve ciò
che si merita dal momento che il senso del gusto corrisponde alla
rozzezza o meno dell’intelletto.
Il vino è costoso, al di là di tutte le sperequazioni
immaginabili della filiera commerciale, fare vino costa. Assodato
ciò come si può pensare di bere vino buono e soprattutto sano ad un
costo così basso quando solo tappo, vetro, capsula ed etichetta
possono incidere su una bottiglia dai due a tre euro? È pensate pure
di trovarlo in bella mostra in un supermercato senza il peso di
ulteriori costi aggiuntivi?
Meglio andare alla
ricerca di vino sfuso comprato direttamente nelle cantine o nelle
enoteche attrezzate per questo. Potreste
rimanere sorpresi nel notare quanta qualità si trova in questi
ultimi anni nel vino sfuso.
Il merito? Della crisi, naturalmente, che ha riversato nelle cantine
sociali le uve di molti produttori privati disperati. Non tutti i
mali vengono per nuocere e, per lo meno, chi beve per saziare la
voglia di quantità può rivolgersi a questi distributori di liquido
alcolico nella certezza che non andrà a ingurgitare acido muriatico
o fertilizzante addizionato con zucchero. La cosa che fa sorridere,
però, è la questione Brunello
che ha visto nella azienda Banfi di Montalcino il capro espiatorio
di un’ usanza, si fa per dire, che si protrae da secoli.
I francesi già nel lontano 800 erano usi ad acquistare vino
calabrese e dalla Sicilia, per tagliare i propri vini che vendevano
in tutto il mondo. Il sud d’Italia da sempre è stato il più grande
rifornitore del nord della nostra penisola i cui vini necessitavano
di un’iniezione di corpo e grado alcolico.
Qualcuno, forse, ricorderà un periodo in cui molti vini del
settentrione improvvisamente lasciavano a desiderare, non avevano
più quell’ammiccare caldo e sensuale che spesso li distingueva, più
o meno nello stesso periodo in cui i vini del meridione cominciavano
a farsi notare per classe e potenza grazie a produttori che avevano
deciso di imbottigliare anziché limitarsi a essere dei semplici
rivenditori di vino sfuso. Casualità?
Forse.
Adesso, però, si grida al tradimento del Brunello, ci si straccia le
vesti in piazza col fiasco in mano e le gote arrossate, ma che dire
allora di quei che il prosecco lo tagliano col trebbiano romagnolo o
dello stesso chianti che “tanto ama” il nero d’Avola o il primitivo?
E in Romagna? La consistenza
scura e importante del sangiovese, il carattere così addomesticato
con tannini setosi e pienezza di profumi, pensate davvero che non
sia dovuto ad un aiutino dei famosi vitigni internazionali? Nel caso
Romagna sono stati più furbi, dal momento che il disciplinare veniva
“aggiornato” di volta in volta per facilitare i lavori. Nell’imolese
c’era addirittura chi utilizzava , se pur vietata, l’Ancelotta,
famoso vitigno tintore reggiano, oggi, invece, pare che si possano
utilizzare anche le uve di quei filari tenuti prima nascosti.
Tutte voci di corridoio, si intende, ma gli addetti ai lavori
comprendono bene l’antifona. Strane leggi le nostre: il disciplinare
recita di uve autorizzate e di altre consigliate. Le differenze sono
appanno di molti, compresi gli stessi produttori, ma la traduzione,
caricaturale, è presto fatta. Sono autorizzati i vitigni che, se pur
non adatti al tuo territorio, li puoi utilizzare lo stesso, se poi
qualcuno ottiene risultati eccellenti allora ecco che diventano
consigliati perché ora quei vitigni – attenzione, gli stessi di
prima-, si adattano perfettamente al territorio…; e poi si grida
allo scandalo per un po’ di Brunello contraffatto; se andavano in
Piemonte cosa poteva mai succedere?
Qualcuno ha
dimenticato cosa accadde qualche anno fa quando scoprirono un
“produttore” pugliese di vino al fertilizzante destinato ad alcuni
barolisti?
È chiaro che non tutti i produttori e cantine pirateggiano tra le
onde del vino mescolandolo e adulterandolo con artifizi di ogni
genere. C’è davvero chi si dedica al territorio con tutti i rischi
del caso e per fortuna sono la maggior parte, ma le grida allo
scandalo per attirare un po’ di attenzione per vendere qualche copia
in più è stato come urlare la scoperta dell’acqua calda o il segreto
dell’uovo di Colombo.
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