30.08.2002 | Vino e dintorni

''L’uva al piombo? Tenetevela''

Sant’Antioco (CA). Dalla plancia di comando della cantina sociale di Sant’Antioco Sergio Busonera annuncia che il consiglio di amministrazione da lui presieduto non ci ha ripensato: «Non siamo disposti a prendere un solo chilo dell’uva contaminata che arriva dai vigneti di Portoscuso».

Significa porte chiuse agli agricoltori che coltivano le vigne all’ombra delle ciminiere di Portovesme. Loro, in virtù di un’ordinanza del sindaco di Portoscuso, il 10 settembre cominceranno la vendemmia e si presenteranno ai cancelli con i carrelli stracolmi di grappoli: «Farò presidiare la cantina dalle forze dell’ordine ma quell’uva non entra», annuncia Busonera.
Il coriaceo presidente non ha l’aria di scherzare. «Non sono cose da prendere alla leggera». Ma è allergico ai diktat, come l’ordinanza del sindaco di Portoscuso Adriano Puddu che fissa la data della vendemmia delle uve contaminate e il conferimento a Sant’Antioco. «Il sindaco Puddu ha trascurato un particolare: le sue ordinanze qui non valgono nulla». Insomma Sergio Busonera ha tutta l’aria di volersene infischiare: «Che si arrangino». Di uva al piombo ne ha i silos e le tasche piene. Non ne vuole più sapere e questo non per uno ma per almeno tre buoni, anzi ottimi, motivi.
Primo, l’immagine. «Ogni volta che si parla di vino al piombo piovono disdette: non tutti sanno che le uve contaminate vanno vendemmiate separatamente e che il vino viene venduto agli acetifici». Insomma i consumatori fanno di tutta l’uva un mosto. Inutile che Busonera si sgoli a ricordare che «quello che mettiamo in commercio è un vino doc, supercontrollato, che sta collezionando premi e riconoscimenti».
Secondo buon motivo: la data della vendemmia: «Chi decide quando deve essere conferita l’uva è la cantina non il sindaco di Portoscuso». C’è una ragione: «Abbiamo tempi precisi da rispettare. L’uva buona non può essere mischiata con quella non commerciabile», spiega il presidente. Se non bastasse c’è un’altra grossa difficoltà: i soldi. La cantina di Sant’Antioco si è sempre accollata l’uva al piombo con l’impegno della Regione a ripianare i minori ricavi ottenuti vendendo il vino agli acetifici. Ma Cagliari ha fatto stecca. «Da quattro anni non riceviamo un euro, abbiamo più di due miliardi (di vecchie lire) di crediti e ventimila ettolitri di vino non commerciabile nei silos», riferisce Busonera. Qui l’assurdo sconfina nel grottesco: «Fino a quando la Regione non ci paga noi non possiamo venderlo agli acetifici». Per questo la cantina ha dovuto congelare parte dei compensi spettanti ai viticoltori. E il consiglio di amministrazione ha deliberato: «O la Regione salda il debito oppure cantina chiusa ai portoscusesi. Del resto questa storia per noi è una grossa palla al piede, sarebbe ora che il problema venisse affrontato alla radice», sostiene Busonera.
La cantina di Sant’Antioco sta faticosamente riconquistando i mercati del vino di qualità. Raccoglie 25 mila quintali di uva l’anno che trasforma in 16 mia ettolitri di ottimo vino imbottigliato sotto etichette di prestigio. Le potenzialità sarebbero maggiori se non ci fossero i quattromila ettolitri di vino da aceto che occupano i silos in acciaio e appesantiscono i bilanci «danneggiando i viticoltori che producono uva buona e che devono sopportare le diseconomia delle gestione», sottolinea il presidente Busonera.
Ce n’è abbastanza per dire basta: «A settembre inizia la vendemmia andremo avanti con l’uva buona». E se arrivasse quella di Portoscuso? «Non possono bloccare la cantina, chiamerò i carabinieri». La guerra dell’uva è dichiarata.
Sandro Mantega

FONTE: L'UNIONE SARDA

px
px
px
px
px
Web agencyneikos
Entra in MyVinit Chiudi
Email
Password
Mantieni aperta la connessione.
Non sei ancora registrato?