18.04.2005 | Cultura e Tradizioni

A tavola con i Borboni

A Napoli i Borbone apparecchiavano col mare e il Vesuvio. Così pare raccontare Raffaele Riccio nel suo libro "A tavola con i Borboni. Ricette, curiosità storiche e vita di corte" (Atesa Editrice pp. 110; €14.50): “...le acque, i famosi reperti storici e archeologici, le bellezze naturali e gli scorci paesaggistici... prima di affrontare il discorso della cucina, è opportuno soffermarsi sui luoghi e sui personaggi...”.

Una carrellata storico gastronomica del regno Borbonico, con Carlo III, Ferdinando IV e Maria Carolina, dal ‘700 all’ ‘800. Sovrani stressati dagli impegni di corte, che per meglio rilassarsi, solevano organizzare all’aria aperta pic- nic e battute di caccia nei grandi parchi delle Regge. Appuntamenti in cui solitamente si servivano ‘entrate’ di piccoli pasticci di pasta frolla o pasta brisée e pasticcini di selvaggina. Portate leggere che servivano a stuzzicare l’appetito con delicatezza. La cucina settecentesca, come tutto il secolo del resto, era “illuminata”.

Titolo: A tavola con i Borboni. Ricette, curiosità storiche e vita di corte

Prezzo: EURO 14,50

Dati:
112 p., ill.

Anno:
2002

Editore:
Atesa

Una diversa riflessione sui sensi ha consentito la sperimentazione di nuove regole, per la dieta e l’alimentazione oltre, ovviamente, per il gusto. I sapori ora si abbinavano, lontani dall’anarchia che imperava nel Rinascimento e ancor più nel Barocco. Il posto di regina della tavole - è davvero il caso di dirlo - spetta però alla pasta. Celebri viaggiatori hanno attraversato il regno e appuntato sui diari piccole ricette o approfonditi commenti su come l’avevano mangiata. Raccontando, perfino nell’Enciclopedia, dei cuochi napoletani che la celebravano, infondendo nuova creatività a “…pasticci di maccheroni, di gnocchi e timballi di pasta veramente sorprendenti ”.

Spesso le ricette portavano nomi semplici, che menzionavano gli ingredienti (gnocchi con colì di gamberi, maccheroni con formaggio e polpettine di carne, sartù di carne, sartù di pesce), altre volte invece nascondevano veri e propri segreti, come per il timballo di maccheroni Pompadur. Chiaro è il riferimento alla marchesa francese, favorita di Luigi XV, ma meno chiaro è certamente che l’autore, il Corrado, abbia voluto con questa omaggiare una doppia fantasia dell’immaginario nobiliare napoletano, il binomio erotismo e potere politico.

Un timballo che rievocasse attraverso le papille gustative l’atmosfera e gli intrighi alla corte di Versailles. Ma il vero trionfo della tavola napoletana risiedeva comunque nell’ultima portata, il dolce: “Li immani babà saturi come il manto di cavalli, Monte- Bianco nevosi di panna…collinette di profiteroles alla cioccolata…sviolinature in maggiore delle amarene candite,…impudiche ‘paste delle vergini’… ”. Dolci divini da abbinare ai sorbetti, ai gelati, alle cioccolate, ai caffè - scoperta propria di questo secolo - e alle ancor oggi celebri sfogliatelle - frolle e ricce - di Pintauro.

Fonte: Campaniasuweb


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