14.05.2007 | Cultura e Tradizioni

Cannonau e Vermentino: orgoglio di Sardegna

Narra una leggenda che Dio, nella mirabile opera di creazione, alla fine del suo lavoro si accorse di un mucchio di terra e sassi che era rimasto inutilizzato in mezzo al mare. Egli impresse l’orma del suo piede sinistro su quella terra che ne conservò la forma. Nacque cosi la Sardegna, magicamente isolata nel mar Tirreno, “riservata” nella sua civiltà millenaria e severa, nella aspra fatica, nella ieratica dignità...

Queste profonde radici trovano origine e forza nelle storie arcaiche e nel misterioso mondo dei nuraghi preistorici ma anche nella vita dura e solitaria dei pastori, nelle campagne e nelle suggestive atmosfere degli antichi vigneti. La presenza del vino e della vite nella civiltà sarda risale a circa 5.000 anni orsono. Sono infatti di quel periodo i reperti di anfore e coppe rinvenute nei pressi di Nuraghi. Significativa in tal senso la scoperta del 1984 in prossimità del Nuraghe Arrubiu di Orroli, in provincia di Nuoro, di un arcaico impianto di produzione vinaria con tini e vasche per la fermentazione e per la conservazione del vino. Durante i lavori di scavo sono stati anche rinvenuti dei vinaccioli di varietà non identificabili ma innegabilmente autocnoni.

A prescindere da questi antichi ritrovamenti è opinione consolidata che una vera e propria introduzione della vite nell’isola sia stata operata dai Fenici intorno al VII secolo a.C., specie a Tharros e nelle altre colonie nella costa occidentale e sudoccidentale dell’isola. Dopo i Fenici i Cartaginesi, i Romani e poi ancora Genovesi, Pisani, Catalano-Aragonesi, Spagnoli, Piemontesi del Regno Sabaudo. Nei secoli tanti conquistatori vennero dal mare ed è logico che nel portare le loro culture e le loro tradizioni abbiano, seppur non nella stessa misura, introdotto in Sardegna nuove varietà di uva che si sono aggiunte alle autoctone, influenzando nel contempo le tecniche viticolturali ed enologiche.

Questo non vuol dire che i sardi di allora si disinteressassero della viticoltura. Eleonora d’Arborea, (sarda doc per rimanere in tema di vini…) nel 1392 emanò la "Carta de Logu" importante raccolta di leggi consuetudinarie di diritto civile e penale. Così sentenziava la sovrana: " Chiunque possieda terre incolte deve essere obbligato da un funzionario regio della contrada a impiantarvi o farvi impiantare una vigna entro un anno, altrimenti venda la terra o la dia a chi puo' coltivarla”.

Principi lodevoli ed innovativi per allora, meno accettabili da noi “moderni” le relative pene. Venivano infatti considerate illegali le vigne abbandonate e non curate, chi espiantava i vigneti di nascosto doveva pagare un ingente rimborso e nei casi più gravi di insolvenza era prevista anche l'amputazione della mano destra e la prigione. Ma, quasi a contraddire questo interesse dei sardi alla vite ed al vino, è curioso ricordare quanto asseriva Andrea Bracci nel “De Naturali vinorum Historia” del 1596. L’autore considera il vino sardo di buona qualità e definisce la regione: "Sardinia, insula vini". Lamenta però il Bracci: “Sfortunatamente i sardi non fanno grande uso di vino, in quanto il loro gusto e' poco educato e bevono soprattutto acqua…”.

Per fortuna, almeno nel senso di un uso morigerato del dono di Bacco, le cose da allora sono cambiate. E non solo gli “isolani” apprezzano il frutto dei vitigni sardi , fra i più famosi e coltivati non si possono dimenticare il Cannonau ed il Vermentino.

Per diverso tempo gli esperti sostenevano un origine di “importazione” del Cannonau, si faceva riferimento al Cannonazo di Siviglia, al Granaxa aragonese, all'Alicante introdotto in Sardegna dai gesuiti, al Grenache della Francia. Ma, con buona pace di tutti e con nostra soddisfazione, oggi prevale la ipotesi autoctona suffragata da sofisticate indagini genetiche che indicano una genesi “nuragica” del vitigno. E’ curioso ricordare l’amore per questo vino da parte di Gabriele D’Annunzio che lo celebrò nella sua prefazione al volume “Osteria” del giornalista tedesco Hans Barth. Ai primi del 900 il famoso poeta e scrittore abruzzese fece un memorabile viaggio in Sardegna con Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella, quest’ultimo “vittima” di una colossale sbronza di Cannonau ad Oliena in provincia di Nuoro.

Così si esprimeva su questo vino sardo il vate e legionario fiumano: "A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito...Possa tu senza tregua fluire dal quarterolo alla coppa e dalla coppa al gorgozzule. Possa io fino all'ultimo respiro rallegrarmi dell'odore tuo, e del tuo colore avere il mio naso sempre vermiglio... - …sono certo che se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall'ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scalpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi…” E non siamo in pochi a condividere questo pensiero.

Se dai rossi passiamo ai bianchi, in questa famiglia il posto d’onore è occupato dal Vermentino, prodotto in tutta la Sardegna ma che in Gallura , unico D.O.C.G. isolano, assume delle suggestive specificità. La sua probabile origine è la Spagna (Listan d’Andalusia) per poi passare attraverso la Francia con i nomi di Grosse Clarette, Malvois d’Espagne e Piccabon . In Italia, conosciuto anche come Favorita di Piemonte, ebbe particolare fortuna in Liguria ove divenne, Pizzamosca, Corbesso e Vemettino, con quest’ultimo nome arrivò in Corsica e quindi in Sardegna dove fu battezzato Vermentino.
Ricorda l’amico prof. Mario Pianezzi, Gran Maestro della Confraternita del Vermentino: “Arrivato per ultimo dalla Corsica attraverso le bocche di Bonifacio ( Bonum facio) a Santa Teresa verso la fine dell’ 800 e i primi anni del ‘900 in un’isola che più delle altre regioni italiane era stata funestata dalla fillossera che aveva distrutto tutti i vigneti, e che si stavano lentamente reimpiantando su piede americano, pian piano si diffonde verso l’interno della Gallura imponendosi sugli altri vitigni per la sua vigoria, per il buon acclimatamento e per le eccelse qualità del vino che se ne ricava”

E qui la storia si confonde con la leggenda degli antichi vignaioli galluresi che con il sudore ma con lungimiranza impiantarono i primi vitigni di Vermentino facendosi faticosamente strada, tra le roccie e la macchia mediterranea ricca di profumi, in una terra di incomparabile bellezza sferzata dal maestrale salmastro. Ci piace fare nostra la definizione di Pianezzi: “Vino evangelico, venuto ad annunciare un altro miracolo della natura, a testimoniare come anche in una terra dura e selvaggia, caratterizzata da terreni poco fertili su disfacimenti granitici, poveri di humus, dove la macchia mediterranea la faceva da padrona, possa allignare un vitigno che poi da luogo alla nascita di un vino che emoziona come pochi per il suo colore, per i sui profumi e per il suoi sapori.” Gli ultimi saranno i primi… (Matteo 20.16)

Lorenzo Zicconi rettore della Confraternita Enogastronomica Nord Ovest Sardegna
www.cnosardegna.it confcnos@yahoo.it

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