Volendo varcare i
confini, poi, troviamo lo Yassa del Senegal,
pollo condito con limone, cipolla e peperoncino rosso; la
particolare insalata del Nicaragua
a base di sedano avocado e jalapeno; il
Sambal cinese composto da riso, uvetta, cannella e
peperoncino per finire con i condimenti più conosciuti come il
tabasco (composto essenzialmente da peperoncino, aceto e sale), il
ketchup e la famosa worcester sauce, di cui non si conosce
precisamente la composizione anche se si possono nominare, tra gli
altri ingredienti, l’aceto, la soia, la melassa, l’aglio e
naturalmente il peperoncino.
Tra i numerosi e pittoreschi nomi affibbiati al peperoncino dalle
culture locali italiane (diavulicchiu,
paparussi, pipazzu), ce n’è uno in particolare che ne
“riassume” la storia: pepedigne,
pepe d’India. Ovviamente il peperoncino non proveniva propriamente
dall’India ma dall’America appena scoperta da Colombo: la prima
citazione europea della pianta risale al 1493 quando, sul diario di
bordo del capitano genovese, Bartolomeo De Las
Casas scrisse che il peperoncino era una “…spezia migliore
del nostro pepe e nessuno mangia senza il condimento di questa
spezia che giova molto alla salute”
Il peperoncino appartiene alla famiglia delle
Solanacee, una famiglia che comprende più di duemila
specie con in comune gli alcaloidi, composti che si trovano negli
acidi organici delle piante; i più discussi sicuramente sono la
nicotina, l’atropina, la morfina e l’eroina. Anche il pomodoro e la
melanzana appartengono a questa famiglia, insieme a varie piante
ornamentali. Apriamo, a questo punto, una parentesi: nel medioevo
quasi tutte le pozioni o i decotti più accreditati si ottenevano
dalla lavorazione di queste piante; inutile descriverne gli effetti.
Tornando al peperoncino, esso appartiene al genere
Capsicum e ne esistono diverse
qualità che si differenziano per il colore e l’intensità del gusto.
La varietà maggiormente diffusa in Italia è il
Capsicum annuum, le altre si coltivano soprattutto in
America Meridionale e in Messico. Il nome latino Capsicum deriva da
capsa, scatola (per la forma del frutto) o dal greco kapto, mordere
(in riferimento al piccante che “morde” la lingua).
Le molteplici proprietà curative del peperoncino sono ormai note a
tutti: grazie soprattutto al suo principio attivo, la capsaicina,
favorisce la digestione, agisce come disinfettante, cura le
allergie, la colite, la gotta, la stitichezza e l’otite, è
anticancerogeno e tonico per il sistema nervoso centrale e quindi
adatto a combattere la depressione e l’emicrania; secondo la
medicina cinese, inoltre, gli alimenti piccanti migliorano le
funzioni respiratorie e l’intestino crasso. Il peperoncino è anche
chiamato il Viagra dei poveri, pare infatti che stimoli la
produzione di VIP (vasoactive intestinal polipeptide) nell’organismo
provocando l’erezione nell’uomo e gli analoghi fenomeni nella donna.
Il peperoncino può essere conservato intero (dopo l’essiccamento al
sole) o macinato in polvere; se ne possono mettere alcuni in una
bottiglia piena d’olio per un mese per comunicare l’aroma (un
classico è l’olio al peperoncino sulla pizza o sulla pastasciutta) o
si possono raccogliere ancora verdi per mangiarli ad insalata: in
questo caso è bene metterli sotto aceto per conservarli meglio.
In Calabria il peperoncino ha trovato il
suo habitat ideale ed è considerato il migliore in circolazione,
anche se i maggiori produttori sono attualmente l’India
e il Messico, oltre all’Ungheria
e alla sua paprika. Proprio la Calabria e l’Ungheria sono impegnate
in questi giorni in un gemellaggio al “Peperoncino festival”, evento
di portata nazionale che propone “arte, cultura e gastronomia in
salsa piccante” sullo sfondo del meraviglioso lungomare a picco
sulla scogliera di Diamante. Il festival ha lo scopo di valorizzare
il peperoncino non solo in senso gastronomico, con la presentazione
di piatti locali, ma anche in senso artistico e scientifico, con la
mostra della coltivazione del peperoncino, l’esposizione di 150
specie di capsicum provenienti da tutto il mondo, la raccolta di 150
vignette dedicate all’Arma, la possibilità di vedere, a Maierà,
l’unico Museo del peperoncino”
del mondo per finire con il “Campionato italiano mangiatori di
peperoncino”, sfida nata dall’antica credenza dei contadini
calabresi secondo la quale mangiare piccante vuol dire essere forti.
Per finire, una curiosità: nel 1912 il chimico americano
Wilbur Scoville ideò un metodo
per misurare la piccantezza del peperoncino semplicemente
aggiungendo gradatamente ad una soluzione di alcol e peperoncino
tritato dell’acqua. Così calcolò che mentre per un cm³ di
peperoncino dolce basta bere un semplice bicchiere d’acqua per
eliminare il piccante, con la stessa quantità dell’ Habanero Red
Savina del Messico si deve arrivare a 350 litri d’acqua.
Angela E. Calarco
Maridelsud.com per
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