24.03.2012 | Cultura e Tradizioni Inserisci una news

In Ricordo di Tonino Guerra

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Tutto, meno che un’intervista Tonino Guerra: “Con le parole (...) tagliatelle per tutti”

"MA, DOV'È il registratore?". Esordisce, non so se più

stizzito o più sorpreso, Tonino Guerra. Ci guardiamo: entrambi attòniti per opposte ragioni.

Mi sottraggo al suo sguardo. Pochi istanti e la mia incredulità si fa smarrimento, lo smarrimento

inadeguatezza.

"Non vorrà mica mettersi a scrivere...? Al giorno

d'oggi, ancora carta e penna!?".

Panico sottile. Muta angoscia. Occhi urlanti, che

ricercano scialuppe.

"Lei, pensa di poter riassumere quel che dico? Ritiene

che io possa aspettare che lei scriva? Che il ritmo della

mia dialettica possa modellarsi sui suoi tempi? Che

mentre io parlo debba aver di fronte qualcuno

impegnato a prendere appunti?".

Tragica rassegnazione. (Con il pensiero sto già

lasciando la casa di Tonino Guerra a Pennabilli, sulla

rotta di casa...)

"Vado a cercare un registratore!", esclama qualcuno.

Brandelli di speranza.

"Se crede di fare un riassunto di quello che dico,

finiamola pur qui!".

Implosione neurale.

"Ma, che cosa vuole sapere?". L'intervistatore è intervistato.

(Il registratore latita ancora).

Nudo, protetto solo da una spessa, diàfana corazza; fragile come fosse di cristallo, gracile com'è di timidezza, miagolo (per confondermi, è probabile, con i tanti gatti ospiti di Tonino): "Che rapporto ha con i prodotti (gastronomici) della sua terra di origine, con i cibi della memoria?".

Le sue labbra - stanche e sagge, il poeta le dischiude appena - modulano soffici ricordi, resi ancora più

morbidi e pastosi dalla parlata romagnola. Mi lascio da loro accarezzare, cullare come adagiato su un letto di nuvole. Ma, ancora annichilito, non oso di prendere appunti. "La mamma, sebbene semi-analfabeta (un po' meglio il papà), prestava una grande attenzione al cibo, ai condimenti - all'olio soprattutto -, alle cotture, al pane, servito sempre caldo. Ed io mi domandavo se non fossero eccessive tutte quelle attenzioni. Perché tutte quelle cure per il cibo? Le preparazioni erano elementari, semplici, ma sempre servite in un certo modo, come si deve. Un cibo della mia memora è il pollo alla cacciatora: ogni pezzettino che mi capitava di addentare era un autentico godimento".

"E ora scriva pure quello che ho detto... Io non parlo per tre ore. È facile poi fare una sintesi. Io parlo per dieci minuti, poi vediamo se è capace di scrivere un articolo... Può essere che scriva anche meglio di me..."

Le regole. La sfida. L'eveniènza. Riprende, in prosa, la sua poesia. "In casa erano molto considerate le cipolle, l'aglio, l'olio della collina di Montalbano. E le creste dei galletti. Le tagliatelle - all'uovo - tagliate in modo diseguale. La pasta e fagioli". Il suo ritmo si fa ancora più plàcido, lento, sebbene continuo. Capisco: al poeta gli va di tendermi una

mano: il suo racconto si fa "dettato"; così che la mia penna possa incidere - fedele - sul foglio il suo pensiero, proprio come il registratore che non arriva. "Attendevo con una voglia enorme che mi fosse preparata una piadina.

Devo riconoscere che l'acqua appena sollevata dal pozzo col secchio, nelle case di campagna che noi ragazzi visitavamo durante le nostre avventure, era l'acqua più buona che abbia mai bevuto. La ricordo ancora. Scivolava, rapida, giù per la gola, come se fosse coperta da un sapore verde. D'altra parte non ho mai dimenticato un calzolaio basso, che si muoveva in campagna per riparare gli zoccoli e le scarpe in cambio di un fiasco di vino e una bottiglia d'acqua". (Nel frattempo arriva il registratore, ma Tonino seguita a dettare e io a "registrare"). Lo interrompo un istante. Nell'illusione che un grigio schizzo di cronaca possa arricchire il suo azzurro oceano di poesia. "Dove, e in quali anni si colloca il suo racconto?". La risposta è inaspettatamente puntuale: "Siamo nella zona di Santarcangelo, tra il 1928 e il 1930". Pagato il piccolo dazio, seguita il suo libero racconto: "Diventato grande, sono rimasto fedele ai 'mangiari' di mia madre, e cioè: pasta in brodo tutti i giorni, tranne il venerdì, quando si preparavano gli spaghetti col tonno; il lesso, il salame matto (a base di pane e prosciutto), le insalate". M'insinuo, rapido e un po' sorpreso: "Dunque si tratta di una cucina di terra, nonostante Santarcangelo sia vicino al mare!?". "Sì. Anche se il mare era a 10 chilometri, l'ho visto solo attraverso le inferriate di un carro bestiame..." "Però, quando ho fatto 'la' passeggiata a Roma e sono rimasto un paio di giorni presso il pittore Vespignani, ho capito che là si mangiava la pastasciutta tutti i giorni". "In che momento ha fatto questa passeggiata?", chiedo. "Alla fine degli anni Quaranta". "Tornato a casa ci sono stati grandi litigi con mia madre: non poteva credere che al Sud tutti i giorni si facesse sempre pasta. Tanto che una volta, molto arrabbiata, mi tacciò di non essere intelligente. Preparare la pastasciutta quotidianamente significava lavorare molto di più: voleva dire dover cucinare un primo e un secondo; invece con i tagliolini in brodo, arricchiti da pezzetti di carne, si otteneva un piatto unico... Con tutte queste esperienze, ho iniziato a capire che la cucina è un buon momento della giornata". "Dunque, non più solo un mezzo di sostentamento...", in(ter)ferisco io. "Non più. Anche un momento di piacere". Provo a cercare un legame tra l'amore per la buona tavola e la sua attività artistica, domandando se la prima avesse mai avuto una diretta influenza sul suo lavoro, fosse mai stata fonte di ispirazione. Ma rimango deluso. Il mio interlocutore non formula certo le sue risposte per compiacere il giornalista. Nega ogni significativa e diretta rilevanza tra il piacere del cibo e la sua attività; nessuna delle sue opere è stata mai ispirata da questo aspetto. "Certo che mentre si lavorava poteva capitare l'occasione di andare in qualche trattoria 'speciale', ma niente di più". "Ma arriviamo al vino - brusca, inaspettata accelerazione dello sceneggiatore prediletto di Fellini e Antonioni, dopo un placida andatura da crociera che durava da una buona mezzora - e con il vino a Veronelli". D'accordo: cibo-vino-Veronelli. Che pretendo di più? E subito riprende la sua seràfica "dettatura": "Da bambino il vino era una cosa amara, simile alla medicina. Trovavo gustosa l'Albana, che era dolce; la facevano a Bertinoro...". "Dunque non esisteva un'Albana secca all'epoca?", chiedo al pittore (massì, anche quest'arte ha fatto sua). "No, non credo, non ce n'era di 'amara'". Seguita: "Mi sono arrivati addosso molti discorsi descrittivi sull'importanza del vino. Me ne sono reso conto quando i tedeschi mi hanno caricato a Verona su un treno merci insieme a molti altri prigionieri, e tra questi c'era un poveraccio di Santarcangelo che teneva stretto al petto un fiasco di vino. Arrivati a Innsbruck, questo disgraziato va direttamente dai soldati tedeschi per reclamare che il suo vino è finito, loro lo scaraventano sul treno ed egli capisce che la deportazione in Germania sarà, diciamo... un po' 'spinosa', sì, suona bene questo termine, 'spinosa': il vino non lo rivedrà più, neanche con il cannocchiale". Il suo affabulare diverte e impegna al contempo chi vuole far proprie tutte le sfumature del racconto. "Sono stato molto felice - riprende Tonino Guerra - quando, nei pochi incontri avuti con Veronelli, ho cominciato a capire quale mondo misterioso viaggiasse all'interno di questi 'liquidi', che lui valutava con grandissima sapienza. Il suo era un viaggio nel vino che lo portava a una conoscenza profonda delle zone dove veniva raccolta l'uva per produrre queste diversissime 'bevande'". "Mi sembra di poter indurre, da questo suo raccontare, che lei ha sempre 'vissuto' il vino un po' dall'esterno, non pienamente coinvolto, più da spettatore..."; non lasciandomi concludere, si aggancia subito alla mia constatazione: "Ancora adesso sono un modesto spettatore, che non riesce a capire profondamente le qualità di un prodotto e si lascia incantare di più da quello che gli dicono gli altri". E qui, ammetto, resto sorpreso di questa sua conoscenza: "Ultimamente, so che ai confini dell'Italia con la Slovenia vive un uomo eccezionale che produce i suoi vini usando gli stessi metodi utilizzati nel Caucaso, Josko Gravner.

E fu proprio Veronelli a dirmi che l'origine del vino è nel Caucaso. Sono stato molte volte in Georgia e amo questa terra, che, prima degli 'sconvolgimenti', doveva senz'altro essere il Paradiso terrestre. E ricordo di aver visto molti otri di terracotta sepolti. All'epoca non sapevo perché il vino dovesse stare sottoterra, ma le parole di Josko, che mi sono arrivate attraverso la voce di un giovane appassionato, Filippo Polidori, mi hanno svelato questo mistero". Il racconto, oltre che appassionante, si fa viepiù appassionato. "La morte di Veronelli è ancora pianta da tutta l'uva dell'Italia, perché lui non aveva soltanto le labbra giuste per considerare il vino che stava valutando, ma c'era un rapporto tra lui e le viti, tra lui e le campagne, di grande tenerezza. Ci siamo visti poche volte, ma l'amicizia è nata subito grande". Tonino, che pare voler concludere, mi concede invece ancora un po' di spazio, e io approfitto di questo legame fra lui e Gino per una domanda più "politica": "Come Veronelli, anche lei ritiene che i contadini e la loro terra - in quanto unico 'binomio' capace di produrre 'qualità' - dovrebbero godere di una posizione di assoluta supremazia rispetto all'industria e a ogni altro potere economico e politico, che peraltro Veronelli - in quanto anarchico - rifiutava?". L'artista riflette: "Anch'io ho una grande ammirazione per i contadini. Ma ho anche ammirazione per i fornai, in quanto sono stati i primi scultori dell'umanità; i primi a 'progettare' delle forme da cuocere e distribuire alla gente. I contadini a loro modo sono degli artisti, sono dei dottori, sono persone che sanno dire se piove o c'è il sole, sono 'totali', perché sanno camminare sulla terra con la stessa serenità e padronanza degli animali". Pare che Tonino Guerra, in attesa di un amico scultore, si stia spazientendo. Eppure - inaspettatemente, bontà sua - mi concede ancora del tempo. Prezioso. Prezioso per entrambi, seppur per ragioni lontanissime. "Veronelli affermava che il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale...". "Non arrivo a paragonare i contadini all'industria, però ho vissuto gran parte della mia vita al tempo della civiltà contadina, e riconosco che le macchine mi stanno allontanando dal mondo: sono uno che si confonde davanti a un ingranaggio, sono più docile se 'mi arrivano addosso' delle parole, una stretta di mano". Con burbera dolcezza, mi concede un'ultima domanda: "Quali sono i cibi della sua memoria, legati ai più bei ricordi, e dove li ha consumati?" "Ho un ricordo bellissimo dell'acqua che bevevo ai pozzi di campagna. Ho mangiato del pane scuro in Russia, che sapeva un tantino di liquirizia. Le tagliatelle che preferisco sono quelle di Zaghini (a Santarcangelo) e amo molto la trippa preparata nella trattoria La Sangiovesa, sempre a Santarcangelo". "Quindi è più legato a una cucina povera di trattoria che di ristorante...". "Sì, sì...". Qualcuno lo stimola a raccontare un episodio accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, quello delle tagliatelle del pranzo di Natale... "Un giorno di Natale, in Germania, non è arrivata la zuppa perché si era ribaltato un camion. Allora gli altri prigionieri mi hanno chiesto di descrivere con le parole un piatto di tagliatelle: davanti a loro, con le parole appunto, ho creato tagliatelle per tutti... Il bello è che ad un certo punto si è alzato uno che, dopo averne 'mangiato' un piatto, ha chiesto il bis!".

L'intervista "ufficiale" a questo punto è finita. (Anche se tutto è stato fuorché un'"intervista ufficiale"). Un amico lo solletica ricordandogli quel capolavoro che lui ha sceneggiato, Blow up di Michelangelo Antonioni, modernissimo e visionario: "Ma come hai fatto a scrivere quel film, nel 1966, in Italia (sebbene la produzione fosse inglese, n.d.a.)?". Tonino quasi si schermisce, un po' imbarazzato minimizza. "E voi ve la ricordate La notte di San Lorenzo?", ribatte. "E La nave va?", seguita. Qualcuno gli chiede: "Che ne pensi di Anghelopolus?". "Era qui l'altro giorno... È assolutamente imbattibile!" (Mi dice che stanno lavorando insieme a un progetto). "E Kubrick?". "Bravissimo!". Lo scrittore parla sempre più a ruota libera. Mentre, dopo una resistenza iniziale, si lascia fotografare divertito. Insieme a tutti noi. Riflette sulla figura di Veronelli, o della perfezione del contadino, sul suo operato e sulla sua rivista, e su macchine che scimmiotteranno le capacità dell'uomo a capire il vino. Pensa al lungo futuro che abbiamo davanti, colmo di aspetti meravigliosi da cogliere nell'aria e che non si possono perdere. Del fatto che una volta tutto fosse molto più elementare, e che oggi si può morire anche per un "odore". Vorrebbe rendere ancora più ricca la Fondazione a lui dedicata. Ha ancora molto materiale da catalogare: scritti, poesie, sceneggiature. Non vuole che il suo patrimonio culturale vada smarrito. Gli piacerebbe istituire delle lezioni di sceneggiatura, ma non per registi professionisti. Ama la divulgazione. Sanguigno nei suoi giudizi e nella sua parlata, nemico del grigióre della burocrazia, vista come uno stupido ostacolante fardello, sinceramente interessato a che nulla che c'è di meritevole nel nostro Paese vada perduto, non solo le grandi opere artistiche, ma anche le cose apparentemente più piccole, altrettanto preziose e distintive ma più "a rischio", parla di un "convegno sulle idee", che potrebbe essere tenuto in qualsiasi città d'Italia, con il coinvolgimento di tutti, dove riflettere, domandarsi cosa c'è di bello e di brutto in ciò che ci circonda, dirlo a voce alta, raccogliere i pensieri, ragionarci sopra e agire di conseguenza... L'Italia deve preservare e ampliare il proprio patrimonio di arte e cultura: per fare ciò occorrono amministrazioni elastiche e sensibili e cittadini sensibilizzati e coinvolti. Salutiamo Tonino, per me non più "signor", bensì "maestro": è così che senza volerlo mi accorgo di chiamarlo alla fine dell'incontro. Lasciamo la sua casa. Accessibile labirinto, fatto per (ri)trovarsi. Ricca e strabordante. Di significati, idee, pensieri, scritti e scrittoi e sedie e poltrone, fogli e foglie e piante e fiori, penne, libri, fotografie, disegni, quadri, scalini, piccoli corridoi, sali-scendi, zig-zag, piatti, bicchieri, pentole, fumi, profumi, odori, gatti (cuccioli, adulti, bianchi, grigi, miagolanti, dormienti), cani, luci, ombre, ricordi, sensazioni. Una casa che ti offre il tempo e te lo fa toccare; ti stordisce e ti rianima; ti svuota e poi ti colma. Raggiungiamo la Fondazione, lì ritroviamo il poeta con il suo amico scultore. Assistiamo-partecipiamo all'allestimento di un trittico in terracotta: una claunésca sacra famiglia. È uno spettacolo vedere Tonino che si sbraccia per dirigere la scena, discutendo con lo scultore: "più su, più giù, un po' a destra, un poco più indietro, meglio vederla in salita, colpisce di più dall'alto..."; scena che pare comporsi da sola, con le statue che prendono - diligenti - la loro armonica posizione, in una nicchia dell'edificio. Ma queste sono altre vicende, per altri racconti, come lo sono le poesie dell'artista, che accompagnano il visitatore di Pennabilli lungo le strade del centro, "I luoghi dell'anima", il teatro, la mostra dell'antiquariato...

( Intervista di Roger Sesto- EV Veronelli )

LA FONDAZIONE TONINO GUERRA

Tonino Guerra vive a Pennabilli dal 1989 e ha realizzato, in collaborazione con l'Associazione mostra nazionale d'antiquariato,"I Luoghi dell'anima", museo diffuso nel territorio. La produzione di Guerra non si è fermata alla realizzazione di questo museo (con: L'orto dei frutti dimenticati, La strada delle meridiane, I mobilacci, L'angelo coi baffi, Il santuario dei pensieri, Il rifugio delle Madonne abbandonate), ma ha spaziato in tante forme, dai Mobilacci di Pennabilli a Il dopo cena dell'ultima cena, alle targhe in ceramica sulle case del borgo di Pennabilli e della Valmarechia, oltre a mostre incontri e spettacoli. Oggi, grazie all'Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino e all'Amministrazione comunale di Pennabilli, sono stati restaurati i locali sottostanti l'antichissima chiesa della Misericordia. Questi locali sono il contenitore delle opere di Guerra e sede della Fondazione a lui dedicata, nonché l'archivio storico cartaceo e cinematografico del maestro. È nata inoltre un'associazione il cui scopo è di preservare questo importante patrimonio, arricchito anche da opere di importanti artisti internazionali. Ma non si sta parlando solo di un museo, bensì di un luogo vivo dove verranno realizzati incontri e mostre.


Tag: winetaste, romagna, veronelli, Gatti Roberto, tagliatelle, tonino guerra, roger sesto, pennabilli, poeta, sceneggiatore, fellini, antognoni, sngiovese


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