08.09.2005 | Cultura e Tradizioni

Cachaça anima brasileira

L'onda alcolica arriva dal Brasile e porta il nome affascinante di cachaça. Il distillato nazionale brasiliano piace sempre di più. Non a caso il drink principe che rappresenta questo distillato, il caipirinha, è stato nominato dall'associazione internazionale dei barman - International Bartender Association -, tra i sette migliori drink del mondo. Ma cos'è che rende così accattivante questa "acqua di vita?"

In Europa, Italia compresa, è innegabile che la cachaça sia una moda dettata dall'abilità di comunicazione di chi cura il marketing delle multinazionali importatrici del prodotto. Anche se è altrettanto innegabile che nell'ultimo periodo con l'aumentare dell'export verso il nostro paese si nota una crescita di "afecionados" che sempre più decantano, le qualità della bevanda brasiliana.

In Brasile, invece, la cachaça porta una veste diversa; si tratta di un abito che porta il colore delle piantagioni, laddove gli schiavi la usavano per alleviare le proprie sofferenze sfruttandone le proprietà tonificanti. Il percorso via via si estende fino ad arrivare agli intellettuali del XVIII secolo che brindavano, appunto, alla indipendenza dal Portogallo con "l'agua-pra-tudo". A dimostrazione del fatto che in Brasile questo distillato millenario sia "una cosa seria", lo evidenzia l'impegno preso da un istituto nazionale del paese che qualche tempo fa si incaricò di censire i diversi nomi utilizzati per identificare la cachaça.

L'indagine terminò poco dopo con una lista di circa duecento termini che andavano dall'acqua santa, al morso del cobra, al cappotto del povero, da mia consolazione al bafo de tigre, da calma- nervo a lamparina e molti altri ancora. La fantasia dei termini non è da prendere per una mancanza di "rispetto" ma implica, al contrario, una sorta di simbiosi unica con la quale il brasiliano si unisce alla cachaça dandole il nome che più ritiene opportuno per meglio arrivare all'essenza della sua storia. Un vero brasiliano, dice un adagio popolare, è tale solo se beve cachaça con la consapevolezza dei cinque secoli di storia con cui questa aguardiente è legata al popolo stesso.

Il procedimento di lavorazione è simile a quello utilizzato per il rum, ovvero, sfibramento e pressatura della canna da zucchero ed estrazione della parte zuccherina per proseguire con fermentazione e distillazione. Quest'ultima parte è ottenuta secondo due procedimenti di distillazione, continuo e discontinuo, al termine dei quali si passa ad una assemblamento dei due prodotti ottenuti per mettere poi il tutto a riposare in contenitori neutri.

È commercializzata bianca quindi non invecchiata in botti come avviene per altri distillati e, tanto meno, viene aggiunto caramello.

Solo quando porta la dicitura "velha" o "black" significa che è stata fatta riposare in botti di quercia bianca. La si produce nelle distillerie degli stati di Rio de Janeiro, Alagoas, Sao Paulo, Minas Gerais e Pernabuco. Si beve liscia o con ghiaccio o miscelata con frutta e liquori. Comunque sia, bevetela come piace a voi, non come dettano le mode, e se volete far vibrare le vostre papille provate a pensare alle sofferenze alleviate dalla cachaça nei secoli passati: potreste scoprire un sapore fino al quale le mode non sarebbero in grado di portarvi.

Fabio Magnani, Giornalista enoico
fabiomag@linknet.it - autore del libro

Vini dal Cile Viaggio tra i profumi dei vigneti andini -
Edizioni Delmònt, Ravenna Marzo 2002

Tutti gli articoli di questa rubrica su

px
px
px
px
px
Web agencyneikos
Entra in MyVinit Chiudi
Email
Password
Mantieni aperta la connessione.
Non sei ancora registrato?