11.03.2003 | Vino e dintorni

Il Prosecco apre i mercati esteri

TREVISO. Non sempre apprezzato dai cultori del bere «impegnati», il Prosecco, vino «facile» e orgoglioso di esserlo, continua a trovare estimatori in tutto il mondo. Tanto che non sono poche le cantine che sono riuscite a portare i loro vini rossi, o bianchi ma tranquilli, anche in mercati «difficili» grazie ad un biglietto da visita di azienda produttrice di Prosecco.

Bollicine che diventano passepartout, fatturati che diventano miliardari. Vino che, a volte, diventa «quel che diventa». Eppure il Prosecco resta uno dei gioielli della Marca, non tanto dal punto di vista enologico, quanto del valore. Sì, di quello commerciale.

Nel mercato internazionale non esistono altri spumanti con analoghe caratteristiche di piacevolezza e di bevibilità, è vero. Però è anche vero che il successo del Prosecco sul mercato internazionale è il risultato della capacità imprenditoriale delle aziende spumantiste che hanno aggiunto alle caratteristiche intrinseche di questo vino una buona immagine fatta di bottiglie ed etichette accattivanti, di una presenza massiccia nelle più importanti fiere e manifestazioni varie (grazie sia all'intensa attività del Consorzio di tutela, sia alle iniziative dei singoli). Il Prosecco è divenuto, così, il vino del «bere giovane», quello che piace alle signore e ai ragazzi, che s'abbina piacevolmente con mille pietanze o con una chiacchierata tra amici. Ma questo è il punto di vista del cliente, o potenziale tale.

Dal punto di vista dei produttori, il Prosecco è un'altra cosa: è «numeri». Nell'ultimo quinquennio, infatti, il giro d'affari del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene è stato nel 1998 di circa 270 miliardi di lire, per passare a circa 380 miliardi di lire nel 2000 arrivando nel 2001 ad un valore di 200 milioni di euro. I primi dati sulla commercializzazione 2002, infine, confermano un'ulteriore crescita delle vendite di qualche punto percentuale.

Numeri, inoltre, cresciuti esponenzialmente negli ultimi vent'anni, durante i quali le verdi colline di Valdobbiadene e Conegliano hanno raggiunto quotazioni/ettaro davvero ragguardevoli. Numeri che invadono i mercati di Germania (primo importatore di bollicine trevigiane), Austria e Svizzera, ma che crescono sempre più anche in Usa, Giappone, Brasile, Inghilterra e Canada. Alcuni (i più organizzati) sono anche riusciti ad imporsi in Vietnam, Cina, Cambogia, Filippine o stati dell'America latina. Molti quelli che vantano presenze stabili in oltre quaranta-cinquanta paesi del mondo.

Insomma, una grande produzione cresciuta a dismisura e che negli ultimi anni ha sempre più cercato di darsi un'identità. Perché l'identità è, spesso - sia dal punto di vista enologico quanto di mercato - il vero problema del Prosecco. Che, per noi che viviamo intorno o dentro la zona Doc, resta e rimarrà «Prosecco» e basta, ma che al di fuori dai confini trevigiani vuole, anzi «deve» essere meglio identificato come «Prosecco doc di Conegliano Valdobbiadene.

Non è un argomento di poco conto o un vezzo campanilistico, ma una precisa esigenza di marketing per un vino che, tra tutte le fortune che sta vivendo, resta un po' «vittima» di quel destino che lo nomina esattamente come il vitigno dal quale prende vita. Rendendo così possibile vendemmiare del «Prosecco» anche in Puglia o in Brasile. Ma, si sa, un vino non nasce solo dalla pianta ma anche da tutto quel che ci sta sotto da quel terroir che i francesi chiamano con un nome così bello che è impossibile tradurlo, da quel territorio che gli sta intorno. Quel territorio che, anche questo i produttori di Prosecco lo hanno capito bene, dev'essere valorizzato con le manifestazioni come «Primavera del Prosecco».
Marina Grasso

Fonte: La Tribuna di Treviso

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