Le prospettive commerciali del Radicchio di Verona, i risvolti economici, i motivi di crisi, le difficoltà che la coltura incontra, soprattutto nei primi anelli della filiera - i produttori - e la riforma Ocm: questi i temi del convegno "Insieme per coltivare un futuro. Opportunità e prospettive commerciali per il Radicchio di Verona Igp", organizzato dalla Provincia di Verona e da Coldiretti Verona a margine della Fiera di Roveredo di Guà.
Aperto dal padrone di casa, il Vice Presidente della Provincia di Verona, Antonio Pastorello, l'incontro è stato chiuso dal Presidente di Coldiretti Verona, Damiano Berzacola.
I problemi della filiera li ribadisce anche Filippo Moroni, responsabile dell'ufficio economico Coldiretti di Verona. «La stagione si è aperta senz'altro meglio dell'anno scorso – commenta – ma solo perché il 2006 è stato un anno nero. Il settore del radicchio vive costantemente i suoi problemi storici: si fatica a valorizzare e a promuovere il prodotto.
Una questione che pesa principalmente sui produttori, che non riescono ad avere un riscontro economico adeguato, a differenza dei commercianti, che traggono sempre buoni profitti».
È una storia che si ripete: il radicchio costa molto ai consumatori, ma porta poco nelle tasche dei produttori. Si parla di 35 centesimi al kg sul campo, che alla fine della filiera diventano 1,50 euro al kg nei supermercati. Queste le cifre del 2007, che hanno risollevato, di poco, le casse dei produttori che lo scorso anno avevano incassato 13 centesimi al kg, per vederlo in vendita anche a tre euro al kg nei negozi di frutta e verdura.
Aumentata anche la produzione: dai 192mila quintali dello scorso anno, secondo i dati Istat (aggiornati al settembre 2007) sono 1567 gli ettari coltivati a radicchio nel veronese, per una produzione di 235mila quintali – a fronte dei 9500 ettari del Veneto, che producono in totale un milione 239mila quintali -.
Nonostante la leggera ripresa, tuttavia, le difficoltà persistono e vanno combattute. «Il problema è duplice - continua Moroni –. Non si fa sufficiente promozione e la filiera è troppo lunga: il radicchio passa di mano in mano per numerose volte, in passaggi che spalmano il valore aggiunto, riducendo il reddito dei singoli operatori.
Parliamo ancora di mediatori, ad esempio, un passaggio che andava bene cinquanta anni fa, ma che ora contribuisce a togliere guadagno ai produttori. Occorre inoltre che vi sia un solo Consorzio di tutela Igp che lavori concretamente e non solo sulla carta per ottenere la tanto sospirata Igp. Questo deve puntare all'unione dei produttori e alla promozione del prodotto. In secondo luogo si dovrebbe cambiare il sistema di commercializzazione: i coltivatori devono organizzarsi in strutture, che facciano sentire il loro peso al momento della vendita del prodotto.
Ma per tutto questo occorre essere organizzati, in modo da raggiungere l'obiettivo primario: esportare il radicchio».
Senza un'adeguata programmazione e promozione il rischio è che la produzione continui il suo andamento altalenante di anno in anno, danneggiando il mondo agricolo, che potrebbe decidere di ridurre la coltivazione del radicchio. Coldiretti invita dunque i produttori a sfruttare le nuove possibilità di aggregazione offerte dal diritto societario oppure ad aderire ad associazioni già esistenti.
Lorenzo Bazzana spezza, poi, una lancia in favore dell'Igp: «Non è la panacea universale, ma può essere una buona opportunità per unire territorio e filiera, valorizzando il prodotto. Il successo di questa iniziativa è la coesione ed il lavoro di squadra dei soggetti coinvolti, che se ben gestito potrà dare soddisfazioni».
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