Interviste | Il riso italiano: situazione e prospettive. |
Incontriamo il dottor Andrea Desana, direttore della Coldiretti di Vercelli, città considerata nell'immaginario collettivo la capitale europea del riso. | 
| Dottor Desana qual è lo stato dell'arte nel consumo del riso? In Italia ci attestiamo sulla media di 5,5 Kg pro-capite l'anno, con punte al Nord di 8-10 Kg. E' un problema di cultura del territorio e delle tradizioni: in Spagna, dove si ha una produzione notevolmente inferiore, la Paella è molto più conosciuta e richiesta dai turisti di quanto non siano da noi noti e offerti alcuni tradizionali risotti delle nostre terre come, per esempio, la "panissa". Come si può sviluppare la problematica? Assistiamo a due processi che vanno apparentemente in direzione opposta: da un lato la globalizzazione, che affrontiamo nel commercio e nella considerazione di tutto ciò che non fa parte della nostra cultura ma che l'evoluzione delle relazioni ci porta quotidianamente a considerare; dall'altra parte, il fenomeno che io definirei "localizzazione", ovvero la corrispondenza della logica di valorizzazione del prodotto tipico. Come possono essere d'aiuto le Istituzioni? Con contributi mirati a tutelare ciascun particolare ambiente e territorio, caratteristico per conformazione e microclima; lo sforzo deve essere mirato a mantenere condizioni d'equilibrio e valorizzato. Mi sembra utile fare un paragone con il mondo del vino: il vino italiano costituisce circa la metà della produzione europea e a livello mondiale la cifra percentuale corrispondente è compresa tra il 10% e il 20%. Per il riso, la metà della produzione europea è di provenienza italiana ma a livello mondiale costituisce il tre per mille. La produzione è cambiata? La produzione italiana di riso era tradizionalmente "di massa" ma oggi si deve spostare nella valutazione delle caratteristiche di colore, odore, sapore che definiscono il prodotto di qualità, con informazioni precise sulle etichette, sulle confezioni, con suggerimenti di cucina che uniscano tradizione e originalità, legando le varietà di riso al territorio.Esiste il fondato rischio che, dal 2006, in Europa arrivi, a prezzi molto competitivi, il riso proveniente, per esempio, dall'Egitto, grosso produttore, a noi più vicino di quanto sia il mercato americano, che già oggi presenta prezzi più bassi. Il consumatore può essere aiutato? Si, con la giusta informazione che comprenda anche la definizione di "tracciabilità" del prodotto, vale a dire l'analisi di tutte le fasi che caratterizzano la trasformazione della materia prima sino a quando arriva il piatto in tavola: si va in questo modo a definire la qualità superiore. Si può pensare all'attuazione di opere promozionali? Certamente, pensiamo alla Settimana Internazionale del Riso, condivisa tra Vercelli, Pavia e Novara, in modo da affermare la centralità del prodotto trainante del territorio. Inoltre occorre considerare la creazione della Denominazione di Origine Controllata per il riso sull'esempio della Francia, in Camargue, e del Portogallo. La Coldiretti, inoltre, si è impegnata nella realizzazione di "Campagna Amica", per la valorizzazione del patrimonio della tipicità territoriale e, a livello locale, nelle scuole elementari con il progetto delle "Fattorie didattiche". Quali sono gli obiettivi prioritari? L'accordo di tutta la filiera produttiva del riso che in qualche caso si va accorciando ma che comprende anche gli industriali che hanno il compito di agevolare il percorso verso la caratterizzazione specifica del prodotto: Carnaroli, Baldo, Sant'Andrea, Roma, Arborio, sono le varietà che hanno un legame che deve emergere con il territorio; inoltre è decisiva un'attenta opera di comunicazione e di immagine che consenta ai consumatori di accogliere positivamente l'originalità delle nostre proposte in termini di tradizioni, cultura e cibo. Paolo d'Abramo |