Il jazz è pulsione, pulsazione, emozione, spinta, tensione e rilassamento, intensità, in una parola, swing.
Il buon cibo non ci fa un medesimo effetto?
Ho sempre "sentito" un rapporto stretto fra cibo e jazz, e uno dei migliori jazz club del mondo, il Ronnie Scott, permette di consumare cibo mentre si assiste ad un concerto. Già questo ve la dice lunga.
La "liason" fra cibo e jazz è iniziata almeno trenta anni prima della nascita di Mingus potente e visionario come la sua immensa musica.
Inizio secolo scorso, Storyville, quartiere a luci rosse di New Orleans. Le sue strade polverose e fetide potevano essere terreno di coltura di malattie, prostituzione, gioco d'azzardo, criminalità, insomma, potevano far pensare a tutto meno che a quell'inaspettata e assoluta forma d'Arte che è il Jazz. E invece…
Il cibo, mai come in questa fase primaria, ha giocato un ruolo importante nello sviluppo della poetica jazzistica.
I primi jazzisti avevano fra le loro più scatenate fan proprio le prostitute, che spesso si trasformavano in ottime cuoche, rifocillando i musicisti fra un "concerto" e l'altro.
La povera Billie Holiday, durante le infernali tourneé in pulmann con l'Orchestra di William "Count" Basie, cucinava per tutti.
E anche lei aveva esercitato il mestiere più antico del mondo (da minorenne e sotto sevizie...).
Ma tornando a New Orleans…
Le fanfare della città spesso gareggiavano fra loro all'aperto, per spingere il pubblico ad andare a ballare nei locali dove si esibivano, e davano vita a quelle Street Parade che ancora oggi fanno parte del folklore della città.
Gli spettacoli nei Ballroom, o nelle più piccole Barrelhouse, offrivano nel "pacchetto-serata" rifocillamenti tipici della cucina creola.
Ma anche i cantanti di blues, in forme più casalinghe, si esibivano nei "barbecue parties" o nei "rent parties", dove veniva servita trippa di maiale e interiora. Per molti di loro era l'unico cibo della giornata.
Non a caso, i primi pianisti di boogie-woogie, data la loro frequentazione dei rent parties, avevano scritto brani dai titoli culinari per esaltare le qualità dei cibi che venivano consumati.
Leroy Jenkins ricorda che Gumbo Suppers, Fish Fries, Egg Nog Parties (titoli di celebri boogies dell'epoca) avevano lo scopo di permettere l'accesso gratuito ai parties, dove i pianisti venivano trattati con tutti gli onori e rifocillati abbondantemente.
James P. Johnson ricorda:
"Se eravate capaci di suonare bene il piano, potevate andare tranquillamente da un party all'altro, e tutti vi colmavano di cortesie, e vi davano da mangiare, da bere, gelati e dolci. Molti dei migliori pianisti erano gran mangiatori; a un party si mangiava una prima volta all'una e una seconda alle quattro. Parecchi di noi ebbero poi a soffrire per queste abitudini prese da giovani".
Le peculiarità gastronomiche della culla del Jazz erano la trippa, le frattaglie, i cavoli rossi, i fagioli rossi con riso (Fletcher Henderson ha anche scritto un brano in onore di questo piatto), giunture, code, zamponi, testina di maiale. Insomma, tutti cibi del sud che presto si estesero a macchia d'olio fino al Nord e che, se vogliamo, ci ricordano la cucina "povera" romana!
Ma New Orleans era anche un grandissimo porto e di certo non potevano mancare la zuppa e il pesce fritto.
In particolare ricordo che Lester Bowie, il leader dell'Art Ensemble of Chicago, durante una puntata a Roma mi chiese se si poteva trovare del pollo fritto in città. Gli chiesi se poteva optare per una porchetta di Ariccia... Nicchio', io lo convinsi e mi confermò che c'era qualcosa di simile nel sud degli Stati Uniti.
Gli piacque comunque...molto.