19.03.2007 | Cultura e Tradizioni

La storia della zeppola di San Giuseppe

Ormai ci siamo, la primavera è dietro l’angolo, e ad annunciarla è l’ultima festa di questo tiepido inverno 2007: la festa del papà, celebrata il 19 marzo, giorno di San Giuseppe. E, come ogni anno, protagonista indiscussa di questa ricorrenza sarà la zeppola, uno dei dolci per cui eccelle la tradizione culinaria napoletana, e in particolare la pasticceria Scaturchio, vero tempio del gusto nel cuore antico di Napoli, meta dei "pellegrinaggi" gastronomici di centinaia di migliaia di turisti.

Come e quando nasce la zeppola di San Giuseppe?

Come tante altre prelibatezze nostrane, anche la zeppola nasce come dolce "conventuale", forse nel convento di San Gregorio Armeno o in quello di Santa Patrizia nel ’700. La prima ricetta "codificata" la troviamo però in un trattato di cucina del 1837 di Ippolito Cavalcanti, un nobile napoletano con la passione per la gastronomia. Certo, da allora le tecniche sono cambiate, ma i fondamentali restano quelli del Cavalcanti. In giro si leggono tante ricette: qual è quella che seguite nel vostro laboratorio dolciario?

La pasta della zeppola è la pasta bignè, la stessa con cui si fanno gli sciù. Nell’acqua dell’impasto va messo un pizzico di sale e – volendo – un po’ di vino bianco. Servono poi 40g di strutto per ogni 225ml d’acqua e – naturalmente – la farina; il tutto si lascia "stiepidire" e a quel punto si aggiungono le uova, una per volta, fino a raggiungere un impasto soffice e omogeneo.

Con la tipica tasca del pasticciere si fanno delle rosette d’impasto su una carta oleata immersa nello strutto, si passa il tutto in due padelle (una "fredda" e una calda) e… voilà, ecco le zeppole pronte per essere cosparse di zucchero a velo, arricchite di crema pasticciera e guarnite di amarene! Ci sembra di capire che secondo lei la vera zeppola è quella fritta, non quella al forno.

Certo, la zeppola originale è rigorosamente fritta. Oggi qualcuno preferisce cuocere l’impasto nell’olio di palma anziché nello strutto, per non appesantire troppo la zeppola. Ma, dico io, se uno deve peccare di gola mangiando un dolce fritto, è meglio che lo faccia scegliendo il meglio: e vi assicuro che il profumo e la friabilità che dà lo strutto non li dà nessun altro prodotto.

Sfogliatelle, babà e pastiere fanno la vostra fortuna da oltre un secolo. In quanto depositario della tradizione Scaturchio, vuole raccontarci qualche aneddoto legato a uno dei vostri dolci?

La storia più bella è quella del cosiddetto "ministeriale". Un fratello di mio nonno Giovanni, zio Francesco, s’innamorò di una bella artista di café-chantant, che gli chiese di inventare per lei un nuovo dolce al cioccolato. Ne venne fuori il ministeriale, il primo dolce "a lunga conservazione" mai esistito. E vuol sapere perché fu battezzato così?

Perché alla corte reale andavano pazzi per questa prelibatezza, ma per essere portato ufficialmente al regale desco il dolce dovette passare al vaglio di numerosi ministeri; l’approvazione burocratica sembrava non arrivare mai, e allora un giorno zio Francesco disse: "Questo dolce è diventato un affare ministeriale!". Cosa è cambiato nel vostro modo di fare dolci dai tempi di suo nonno?

Ah, meno di quel che si crede, noi continuiamo nel solco della tradizione. Certo, oggi si misurano gli ingredienti con precisione, mentre prima era tutto affidato all’esperienza e all’occhio del pasticcere: pensi che in un memoriale di pasticceria del 1872 ho trovato che l’unità di misura di allora era il "cuoppo di ciore", ovvero la tazza di farina.

Ma voglio lasciarvi con un dolce invito: se qualcuno lunedì 19 non riuscisse a passare da noi per gustare la zeppola, può rifarsi la domenica successiva (25 marzo) in piazza San Domenico Maggiore. Lì dalle 9 alle 14 organizzeremo una degustazione di zeppole, e per chi avesse voglia di provare sapori antichi, ci saranno perfino le zeppole fatte secondo la ricetta del Cavalcanti!

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Fabrizio Masucci
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