31.08.2004 | Cultura e Tradizioni

Le parole del Vino: le Quartine di Omar Khayyam

Lo scienziato arabo Omar Khayyam (vissuto nel XII secolo, V dell'Egira) si pose in un contesto anomalo rispetto a quello nel quale visse. Se le sue conoscenze a Corte e quelle che culturalmente possedeva gli permisero di poter liberamente scrivere di vino, sicuramente questo non è da interpretare come una lasciva concessione al suo stile di vita, anche se ad una prima lettura, molte delle sue Quartine (che costituiscono la sua Opera letteraria più famosa) lo lascerebbero supporre...

Offrimi quel vino che per me è alimento dell'anima
Dammi di quello anche se il capo mi duole,
Metti nel mio palmo la coppa, perchè è tempo di favole
E questa vita fugge via come vento, dammi del vino!


In realtà per il Poeta il vino è uno strumento con il quale parlare metaforicamente della vita, e soprattutto per evadere un momento da essa, al fine di evidenziarne la precarietà: secondo Khayyam, infatti, la nostra presenza terrena si dipana in una serie finita di attimi, e conseguentemente perdono i propri connotati i concetti di passato e futuro, dimostrando così come di fronte al Creatore la nostra posizione è passiva, dovendo noi subire il destino, il percorso, che ci è stato riservato:

Vieni, accarezza le chiome di gentile fanciulla
Prima che il fato ti infranga le membra.
Godi una coppa di vino finchè il tuo nome è sul Libro di Vita.
Il cuore domato dal vino non è preda di affanni.


Essendo quindi chiaro che la Terra costitusce per gli esseri viventi e gli oggetti il comune punto di partenza e di arrivo, Khayyam arriva a definire stretti legami fra l'uomo ed i prodotti che egli ottiene dalla Terra stessa:

Allorchè recideranno il virgulto della mia vita,
Le mie parti saranno sparse lontane una dall'altra,
Se dal fango mio allora modelleranno una brocca
Fatela colma di vino e io tornerò alla vita.


Siamo quindi in presenza di un approccio "alla pari" fra uomo e vino, un approccio che può ricordare quello di alcuni filosofi greci, come Socrate, che pur vivendo in un'epoca nella quale ancora diffusi erano gli sfrenati riti dionisiaci, mai, a detta dei suoi allievi, come Platone e Senofonte, si lasciava andare all'ubriachezza.

Come scrive Massimo Donà: "Con Socrate inizia una vera e propria nuova epoca della verìtà: si profila l'idea di una verità che non si trova principalmente nell'apparenza di tutto quello che appare; di una verità che, al contrario, va cercata perchè ama nascondersi dietro un'apparenza necessariamente ingannevole" (M.Donà, "La filosofia del Vino", Bompiani, 2003); ed è da questo stato di torpore che la nostra vita quotidiana costituisce, e che la filosofia indiana definisce alla perfezione con il termine maya, che occorre staccarsi per raggiungere uno stato di consapevolezza superiore, e Khayyam ci suggerisce che il vino è uno strumento eccelso per raggiungere tale livello di "grazia", che però, ahimè, svelerà contemporaneamente il limite terreno della nostra natura.

Dell'Eterno nè tu nè io conosciamo i Segreti
E questo enigma del mondo nè tu nè io conosciamo.
Il nostro incontro è nascosto da un velo:
Quando il velo cadrà, nè tu nè io rimarremo.


Se sono sobrio la gioia mi è nascosta da un velo
Ma la mia Mente perde coscienza se bevo
C'è un attimo solo fra sobrietà e ubriachezza
Per cui tutto darei. E' quello la Vita!


Ulteriori note biografiche su Omar Khayyamsi possono trovare al seguente link: Omar Khayyam

Mirco Mariotti
axemir@libero.it

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