03.09.2003 | Vino e dintorni

Miglioramento genetico e biotecnologie in viticoltura

Il tema degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) è oggi di grande attualità e molte polemiche si innestano a favore o contro lo sviluppo delle biotecnologie. In ambito vitivinicolo il miglioramento genetico è utilizzato con metodi diversi per migliorare la produttività dei vitigni, la qualità della produzione, la diversificazione delle caratteristiche qualitative, la resistenza ai parassiti e alle difficili condizioni climatiche e del terreno.

Anche in cantina le biotecnologie sono utilizzate, per esempio,  per selezionare  microrganismi in grado di produrre le migliori fermentazioni. Le questioni di carattere etico si mescolano, nello specifico del vino, al rischio di un appiattimento e all’assenza della tipicità  del prodotto legata al territorio e alla cultivar viticola. 

Occorre specificare che i cloni (popolazioni di viti derivanti da un’unica pianta madre), in passato, sono stati selezionati dai vigneti e si identificano come derivanti dalla stessa varietà : le differenze esistenti tra i  vitigni sono perciò dovute a modificazioni genetiche o ad infezioni da agenti di virus o citoplasmi, che si sono installati nel DNA della vite. 

La sperimentazione con finalità commerciale deve considerare che la pianta della vite viene propagata e posta in vigneto dove resta per 20-30 anni: è sufficiente questo per capire come, a differenza di altre colture che vengono valutate su base annua ( mais, riso, grano, per esempio), la scelta per l’impianto del vigneto rappresenta un investimento economico di una certa durata nel tempo.  

Le sperimentazioni biotecnologiche hanno  senza dubbio utilità nel caso in cui si riesca a selezionare una pianta più resistente a determinate infezioni e quindi con minori necessità di somministrazione di fitofarmaci. E’ di certo molto più inquietante pensare, come hanno fatto alcuni produttori  nei Paesi a vitivinicoltura emergente, di inserire nel codice genetico e quindi nel DNA della pianta, frammenti di sequenze geniche  provenienti da altre specie , anche non di uva, per conferire caratteristiche particolari al frutto: è possibile considerare questo vegetale  come una vite e il suo frutto come  uva?

Le tecniche in vitro, l’utilizzo del laboratorio per lo sviluppo delle piantine, può essere utile se si ha, per esempio,come obiettivo la produzione di varietà apirene, senza semi. A tal proposito la rilevanza dell’apirenia è duplice: nell’uva da tavola viene ad essere eliminato il fastidio dei vinaccioli che, d’altra parte, nell’uva da vino, al momento della pigiatura devono restare intatti per non conferire gusti e caratteri sgraditi.

Ma come avviene tecnicamente il passaggio di particolari geni nel codice della pianta e la loro conseguente “espressione”, cioè la manifestazione evidente  delle  loro caratteristiche? Può essere resa possibile in vitro grazie  all’intervento di particolari batteri che possiedono meccanismi per trasferire informazioni che diventano patrimonio ereditario della pianta stessa: questa informazione è trasportata da un  “veicolo”, il plasmide, una parte di DNA autonoma dal DNA cellulare: dentro il plasmide è riportata l’informazione che viene trasferita alla pianta dai batteri.

La legislazione internazionale deve e dovrà costantemente  monitorare i cambiamenti in atto nel settore e l’accoglimento delle regole scritte da parte di tutti gli Stati è condizione fondamentale:  per ora non è così  e lo dimostrano le polemiche che contrappongono i  Paesi tradizionalmente produttori  e le nuove realtà vitivinicole.

Paolo d'Abramo
Responsabile scientifico
Enologia e Viticoltura 

VINit.net
dabramo@vinit.net

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