26.06.2002 | Normative

Parmesan? No grazie, parmigiano!

La sentenza della Corte di giustizia europea arriva come il parmigiano sui maccheroni. Nessuno può fare un facsimile del parmigiano, battezzandolo all’inglese, Parmesan.

I furbi sono castigati e il consumatore può distinguere l'originale dalle imitazioni. Quello che francamente fa più specie, in questa vicenda, è vedere come l'atto di pirateria, il tentativo di scippare una denominazione storica per trarne vantaggi commerciali, venga non dall'estero ma dal cuore stesso della regione di cui il Parmigiano è il vero e proprio vessillo gastronomico. Il fatto induce a qualche amara riflessione su quanto scarsa sia, nel nostro paese, la consapevolezza sul valore del patrimonio alimentare tipico. 

È vero che il fenomeno dei «prodotti d'imitazione» ha una lunga storia, ma si tratta di un fatto legato ai flussi migratori dei secoli scorsi. Chi conosce la storia del vino, per esempio, sa della presenza, fino a pochi anni fa, di Hermitage, Sauternes, Porto, Sherry, Barbera, Champagne in Australia, Sud Africa, Sud America. Ancora, la folta presenza di emigranti europei in un paese come l'Argentina ha dato luogo alla produzione di un'infinità di formaggi che scimmiottano, nel nome e nella sostanza, le tipologie italiane, svizzere, francesi: Reggianito e Sardo, Provolone e Sbrinz, Cheddar e Roquefort, Gruyerito e Blue popolano gli scaffali dei supermercati di quel paese.

Quello del «Parmesan», invece, è un caso diverso e attiene esclusivamente alla volontà speculativa di qualche imprenditore senza scrupoli, insensibile alle istanze della qualità come a quelle del buon gusto. La lezione che si può trarre dalla vicenda è ancora una volta la stessa: lavorare perché cresca nei consumatori la capacità di distinguere il buono dal cattivo e, di conseguenza, per collegare in circolo virtuoso chi compra con cognizione di causa e chi produce con serietà. Solo così sarà possibile distinguere i prodotti di qualità, creati secondo una filosofia che sposa il meglio della tradizione artigianale con le moderne esigenze di sicurezza, da chi si limita invece a produrre in serie cibi di bassa lega, omologati e insapori, che nulla hanno a che vedere con il grande patrimonio enogastronomico italiano e internazionale. 
Carlo Petrini

Fonte: La Stampa

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