Quest’anno è il
Piemonte, con 65 etichette premiate, a
battere la Toscana, al secondo posto con 55.
Segue il Friuli Venezia Giulia con 23 e
l’Alto Adige con 20.
Interessante il prologo alla degustazione dei migliori vini di
Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, una tavola rotonda dal titolo “Autoctoni
ricetta vincente per il mercato del futuro?” gremita di
produttori ed appassionati. L’incontro è stato mediato da
Franco Ricci, dal professore
universitario Attilio Scienza,
da Donato Lanati, fondatore
dell’istituto di ricerca e analisi Enosis, dal giornalista
Gad Lerner, da
Antonio Dacomo, presidente della
sezione piemontese dell’AIS, e da Fabio
Gallo, “padrone di casa” in quanto delegato AIS per la
provincia di Torino.
Il tema della conferenza non ha deluso le aspettative, con gli
intervanti dei vari relatori che hanno abbracciato i vari aspetti
dei vigneti e dei vini autoctoni, ovvero prodotti con una tipologia
di uva originaria della nazione o della zona di coltivazione,
sottolineandone sia i lati positivi sia i negativi che la scelta di
produrre vini di questo genere comporta. In sostanza parlare di
vitigni autoctoni non vuole dire automaticamente avere a
disposizione un prodotto vincente per combattere la crisi che sta
attanagliando il mondo del vino, che ha portato anche case blasonate
ad avere scorte di prodotto invenduto in cantina, complice non
ultimo il prezzo piuttosto elevato di vendita praticato negli ultimi
anni.
A tale proposito il prof. Scienza
ha esortato gli enologi a frequentare
maggiormente i vigneti e non di attendere che l’uva entri in cantina
per iniziare la loro opera di trasformazione, ciò per
avere una conoscenza più approfondita del territorio e del clima che
hanno generato il frutto. Secondo il prof. Scienza inoltre le
aziende hanno bisogno di giovani preparati per avviare
sperimentazioni in vigna ed in cantina per riuscire a valorizzare il
potenziale delle varie tipologie di uva, sfruttando in questo senso
la tecnologia e non viceversa per accelerare i vari stadi di
maturazione del vino o addirittura per correggere eventuali errori
in vinificazione.
Lanati ha puntato invece il dito
sul rischio che si sta correndo di perdere
la conoscenza del profilo varietale delle diverse tipologie di vite,
cultura indispensabile per riuscire a capire come vinificare nel
modo migliore l’uva a disposizione riuscendo a soddisfare i palati
dei consumatori di oggi. Sicuramente se si utilizzassero le stesse
tecniche, modi e tempi di cinquant’anni fa, molti vini autoctoni
risulterebbero di difficile beva e comprensione per il mercato
moderno.
Al termine del dibattito, animato da alcuni interventi dei
produttori presenti in sala che hanno stimolato l’animo dei
relatori, sono stati consegnati alle aziende premiate di Piemonte,
Valle d’Aosta e Liguria gli attestati dei “5
Grappoli 2006”.
Un folto numero di appassionati ha quindi dato il via alla kermesse
di degustazioni di tutti i vini premiati in rappresentanza di 56
aziende. Come sempre molto variegata sia la tipologia che lo stile
di realizzazione dei vini, a cominciare dai sapidi e corposi
Vermentini liguri di Giacomelli e Ottaviano Lambruschi al Petite
Arvine Vigne Champorette di Les Cretes di Costantino Charrère, unica
azienda valdostana premiata, al quale va il grande merito di avere
riscoperto antiche varietà valdostane come Petit Rouge, il Mayolet,
il Cornalin e la Prëmetta, vinificate separatamente oppure
assemblati tra loro.
Tra i prodotti piemontesi, che ovviamente l’hanno fatta da padroni,
si iniziava dai Dolcetti di Dogliani di Pecchenino e Francesco
Boschis e dal Dolcetto d’Alba di Ca’ Viola, noto forse più per la
sua attività di enologo che di produttore, che tradivano forse in
parte la tipicità del dolcetto a vantaggio di ottime strutture
supportate però da un’altrettanto buona bevibilità.
Nelle barbere la tipicità veniva ancora una volta meno, in
particolare con la forte acidità e tannicità riscontrata nella
Barbera d’Asti Superiore Bionzo di La Spinetta. Potenza ed
alcolicità sostenuta anche nelle Barbere d’Alba di Andrea Oberto,
Correggia, Gianfranco Alessandria e Vietti, che facevano ricordare
la torrida estate del 2003, più piacevole invece quella di Angelo
Negro. Unici nel loro genere, per ciò che concerne la serata, l’Harys
di Gillardi a base di uva shiraz, il Gattinara Riserva 2000 di
Travaglini, il Nebbiolo d’Alba di Hilberg Pasquero, il Piemonte
Moscato d’Autunno di Saracco ed il Caluso Passito Sulé 2000 di
Orsolani.
Letteralmente presi d’assalto le postazioni
di Gaja, con i celebri e “preziosi”, considerato il noto
prezzo molto elevato, Langhe Nebbiolo Costa Russi, Langhe Nebbiolo
Sorì San Lorenzo, Langhe Nebbiolo Sorì Tildin, tutti annata 2001,
che hanno sortito giudizi discordanti. Grande richiesta anche per il
famoso Barolo Monfortino Riserva 1998 di Giacomo Conterno,
impareggiabile esempio di vinificazione tradizionale, con parere
praticamente unanime di vino di grande valore grazie alla sua
persistenza olfattiva e gustativa nonché alla sua longevità.
Tra i Baroli, “star” di ogni degustazione, confronto ravvicinato tra
gli “old style” capeggiati dallo stesso Giacomo Conterno, Bruno
Giacosa, Poderi Aldo Conterno, Borgogno, Fratelli Oddero, Giuseppe
Mascarello, Damilano e Brezza, fermi nel loro pensiero di lunghe
macerazioni e permanenza del vino in botti di legno di grandi
capacità, ed il plotone dei produttori disposti invece a realizzare
un vino con una bevibilità più immediata grazie a vinificazioni più
corte e l’utilizzo di barrique da 220 o 500 litri ma altrettanto
longevi grazie a strutture importanti. Un fattore che accomuna
questi produttori è il minor utilizzo di botti nuove rispetto al
passato, per evitare che forti sentori di vaniglia prevarichino sul
profumo del vino.
Tra questi spicca ancora una volta per la sua contestabile
originalità La Spinetta, mentre la corrente è trainata dai “soliti”
impeccabili Clerico, Conterno Fantino, Elio Grasso, Ceretto,
Giovanni Corino, Enzo Boglietti, Mauro Molino, Paolo Scavino,
Luciano Sandrone, Vietti e Roberto Voerzio.
Pochi i Barbareschi premiati, appena tre complice l’infelice
vendemmia 2002, con il difficile confronto tra il Barbaresco Asili
Riserva 2000 di Bruno Giacosa, il Barbaresco Santo Stefano 2001 di
Castello di Neive ed il Barbaresco Camp Gros 2001 della Tenuta
Marchesi di Gresy Cisa Asinari, tutti di ottima fattura.
In conclusione la manifestazione di
Stupinigi ha permesso ai consumatori e ristoratori di fare il punto
della situazione sullo stato di salute di vini-top di Piemonte,
Liguria e Valle d’Aosta sulla base del giudizio dell’AIS, che, al di
là di qualche scelta discutibile, è certamente ottimo.
Unica pecca la grande fatica ad entrare in Guida dei giovani
emergenti, sebbene spesso protagonisti di prodotti di notevole
valore, che trovano invece maggiori consensi e riconoscimenti in
altre recensioni.
Luciano Pavesio
lucianopavesio@yahoo.it |