05.12.2005 | Cultura e Tradizioni

Presentata a Stupinigi la guida AIS ''Duemilavini''

Nelle scenografiche ex-scuderie della Palazzina di Caccia di Stupinigi, stupenda residenza Savoia che si trova nell’immediata periferia di Torino, è stata presentata lunedì 28 novembre la guida “Duemilavini - il Libro Guida ai Vini d’Italia” edita dall’Associazione Italiana Sommelier. Nelle 1.700 pagine sono recensite ben 1.442 Aziende, con oltre 15.000 vini degustati e descritti, tra cui spiccano i 286 in rappresentanza di 253 aziende premiati con i Cinque Grappoli, il punteggio dell’eccellenza.

Quest’anno è il Piemonte, con 65 etichette premiate, a battere la Toscana, al secondo posto con 55. Segue il Friuli Venezia Giulia con 23 e l’Alto Adige con 20.

Interessante il prologo alla degustazione dei migliori vini di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, una tavola rotonda dal titolo “Autoctoni ricetta vincente per il mercato del futuro?” gremita di produttori ed appassionati. L’incontro è stato mediato da Franco Ricci, dal professore universitario Attilio Scienza, da Donato Lanati, fondatore dell’istituto di ricerca e analisi Enosis, dal giornalista Gad Lerner, da Antonio Dacomo, presidente della sezione piemontese dell’AIS, e da Fabio Gallo, “padrone di casa” in quanto delegato AIS per la provincia di Torino.

Il tema della conferenza non ha deluso le aspettative, con gli intervanti dei vari relatori che hanno abbracciato i vari aspetti dei vigneti e dei vini autoctoni, ovvero prodotti con una tipologia di uva originaria della nazione o della zona di coltivazione, sottolineandone sia i lati positivi sia i negativi che la scelta di produrre vini di questo genere comporta. In sostanza parlare di vitigni autoctoni non vuole dire automaticamente avere a disposizione un prodotto vincente per combattere la crisi che sta attanagliando il mondo del vino, che ha portato anche case blasonate ad avere scorte di prodotto invenduto in cantina, complice non ultimo il prezzo piuttosto elevato di vendita praticato negli ultimi anni.

A tale proposito il prof. Scienza ha esortato gli enologi a frequentare maggiormente i vigneti e non di attendere che l’uva entri in cantina per iniziare la loro opera di trasformazione, ciò per avere una conoscenza più approfondita del territorio e del clima che hanno generato il frutto. Secondo il prof. Scienza inoltre le aziende hanno bisogno di giovani preparati per avviare sperimentazioni in vigna ed in cantina per riuscire a valorizzare il potenziale delle varie tipologie di uva, sfruttando in questo senso la tecnologia e non viceversa per accelerare i vari stadi di maturazione del vino o addirittura per correggere eventuali errori in vinificazione.

Lanati ha puntato invece il dito sul rischio che si sta correndo di perdere la conoscenza del profilo varietale delle diverse tipologie di vite, cultura indispensabile per riuscire a capire come vinificare nel modo migliore l’uva a disposizione riuscendo a soddisfare i palati dei consumatori di oggi. Sicuramente se si utilizzassero le stesse tecniche, modi e tempi di cinquant’anni fa, molti vini autoctoni risulterebbero di difficile beva e comprensione per il mercato moderno.

Al termine del dibattito, animato da alcuni interventi dei produttori presenti in sala che hanno stimolato l’animo dei relatori, sono stati consegnati alle aziende premiate di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria gli attestati dei “5 Grappoli 2006”.

Un folto numero di appassionati ha quindi dato il via alla kermesse di degustazioni di tutti i vini premiati in rappresentanza di 56 aziende. Come sempre molto variegata sia la tipologia che lo stile di realizzazione dei vini, a cominciare dai sapidi e corposi Vermentini liguri di Giacomelli e Ottaviano Lambruschi al Petite Arvine Vigne Champorette di Les Cretes di Costantino Charrère, unica azienda valdostana premiata, al quale va il grande merito di avere riscoperto antiche varietà valdostane come Petit Rouge, il Mayolet, il Cornalin e la Prëmetta, vinificate separatamente oppure assemblati tra loro.

Tra i prodotti piemontesi, che ovviamente l’hanno fatta da padroni, si iniziava dai Dolcetti di Dogliani di Pecchenino e Francesco Boschis e dal Dolcetto d’Alba di Ca’ Viola, noto forse più per la sua attività di enologo che di produttore, che tradivano forse in parte la tipicità del dolcetto a vantaggio di ottime strutture supportate però da un’altrettanto buona bevibilità.

Nelle barbere la tipicità veniva ancora una volta meno, in particolare con la forte acidità e tannicità riscontrata nella Barbera d’Asti Superiore Bionzo di La Spinetta. Potenza ed alcolicità sostenuta anche nelle Barbere d’Alba di Andrea Oberto, Correggia, Gianfranco Alessandria e Vietti, che facevano ricordare la torrida estate del 2003, più piacevole invece quella di Angelo Negro. Unici nel loro genere, per ciò che concerne la serata, l’Harys di Gillardi a base di uva shiraz, il Gattinara Riserva 2000 di Travaglini, il Nebbiolo d’Alba di Hilberg Pasquero, il Piemonte Moscato d’Autunno di Saracco ed il Caluso Passito Sulé 2000 di Orsolani.

Letteralmente presi d’assalto le postazioni di Gaja, con i celebri e “preziosi”, considerato il noto prezzo molto elevato, Langhe Nebbiolo Costa Russi, Langhe Nebbiolo Sorì San Lorenzo, Langhe Nebbiolo Sorì Tildin, tutti annata 2001, che hanno sortito giudizi discordanti. Grande richiesta anche per il famoso Barolo Monfortino Riserva 1998 di Giacomo Conterno, impareggiabile esempio di vinificazione tradizionale, con parere praticamente unanime di vino di grande valore grazie alla sua persistenza olfattiva e gustativa nonché alla sua longevità.

Tra i Baroli, “star” di ogni degustazione, confronto ravvicinato tra gli “old style” capeggiati dallo stesso Giacomo Conterno, Bruno Giacosa, Poderi Aldo Conterno, Borgogno, Fratelli Oddero, Giuseppe Mascarello, Damilano e Brezza, fermi nel loro pensiero di lunghe macerazioni e permanenza del vino in botti di legno di grandi capacità, ed il plotone dei produttori disposti invece a realizzare un vino con una bevibilità più immediata grazie a vinificazioni più corte e l’utilizzo di barrique da 220 o 500 litri ma altrettanto longevi grazie a strutture importanti. Un fattore che accomuna questi produttori è il minor utilizzo di botti nuove rispetto al passato, per evitare che forti sentori di vaniglia prevarichino sul profumo del vino.

Tra questi spicca ancora una volta per la sua contestabile originalità La Spinetta, mentre la corrente è trainata dai “soliti” impeccabili Clerico, Conterno Fantino, Elio Grasso, Ceretto, Giovanni Corino, Enzo Boglietti, Mauro Molino, Paolo Scavino, Luciano Sandrone, Vietti e Roberto Voerzio.

Pochi i Barbareschi premiati, appena tre complice l’infelice vendemmia 2002, con il difficile confronto tra il Barbaresco Asili Riserva 2000 di Bruno Giacosa, il Barbaresco Santo Stefano 2001 di Castello di Neive ed il Barbaresco Camp Gros 2001 della Tenuta Marchesi di Gresy Cisa Asinari, tutti di ottima fattura.

In conclusione la manifestazione di Stupinigi ha permesso ai consumatori e ristoratori di fare il punto della situazione sullo stato di salute di vini-top di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta sulla base del giudizio dell’AIS, che, al di là di qualche scelta discutibile, è certamente ottimo.

Unica pecca la grande fatica ad entrare in Guida dei giovani emergenti, sebbene spesso protagonisti di prodotti di notevole valore, che trovano invece maggiori consensi e riconoscimenti in altre recensioni.

Luciano Pavesio
lucianopavesio@yahoo.it

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