25.09.2002 | Cultura e Tradizioni

Quanto sono buoni i vini italiani?

C'è un quesito all'apparenza abbastanza improponibile: quanto sono buoni i vini italiani? Come si potrebbe rispondere ad una questione così generica? Come è possibile parlare in maniera assoluta di bontà (che comunque resto un concetto soggettivo), rapportandola poi ad una categoria smisurata come quella dei vini italiani? L'unica risposta per me sensata è: non abbastanza...

Cercherò di spiegarmi. Una simile domanda, formulata nei confronti delle bottiglie francesi, riceverebbe risposte differenti a seconda del gradimento riscosso dalle medesime: buoni, buonissimi,non mi piacciono, o, più sensatamente, dipende da vino a vino. 

Ecco, il fatto è che, per quanto riguarda i vini italiani, quest'ultima, ragionevole risposta, non è possibile, se non per poche regioni. Infatti, in Piemonte ed in Toscana (e, in parte, pure in Veneto e in Friuli), la produzione di vini di qualità è all'avanguardia, per un mix di tradizione, ricerca, capitali impiegati etc. Dunque i vini di queste regioni hanno una loro fisionomia ben delineata, hanno quasi sempre espresso appieno il loro potenziale (anche se, grazie al cielo, il mondo del vino è in continua evoluzione e novità sono sempre dietro l'angolo ; basta vedere le polemiche in Piemonte fra vecchia e nuova scuola del Barolo); di questi vini possiamo chiederci ,pur senza prenderci troppo sul serio: quanto sono buoni? 

E nel chiedercelo abbiamo abbastanza bene in mente a quali prodotti ci riferiamo: abbiamo, per così dire, dei modelli in mente, archetipi della tipologia. Ma non possiamo fare la stessa cosa, a meno di accontentarci, per tutte le altre regioni. L'appassionato sa benissimo che spesso sale alla ribalta delle cronache enologiche un nuovo vino fino a quel momento sconosciuto, o considerato di second'ordine: è successo al Sagrantino, al Montepulciano, al Primitivo e così via. E questo accade semplicemente perchè , a fronte di un patrimonio di vitigni assolutamente incredibile ed unico, la cultura del vino di qualità è da poco stata recepita dai produttori italiani, e per il vero da un numero limitato di loro. 

Chi sapeva quanto monumentale sarebbe potuto diventare il Sagrantino prima che Caprai decidesse di ridurne le rese e investire in tecnologie e strutture? Cosa succederebbe se tanti piccoli Caprai, nelle loro regioni, decidessero di usare simili metodi, abbandonando le vecchia politica quantitativa da vino in cartone? Alcuni produttori comprano barriques e credono di aver fatto tutto il possibile (e purtroppo certa stampa li incoraggia), e non si rendono conto che il grande vino nasce in vigna, e non da rese superiori ai 50 quintali per ettaro. 

Il patrimonio di vitigni da valorizzare è enorme: siamo in fremente attesa di sapere "quanto sarebbero buoni" Aglianico, Rossese, Pignolo, Refosco, Negroamaro, Croatina, Pigato, Cirò, e tanti altri ancora, il giorno che le case vinicole smettessero di puntare sui vitigni internazionali - così affidabili! - per il "Grand vin de la maison", senza aver neppure tentato di produrlo con vitigni autoctoni...

Marino Poerio

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