24.10.2005 | Cultura e Tradizioni

Ricomincio da tre...

Forse in fondo al tunnel si inizia ad intravedere uno spiraglio di luce... Il 27 luglio scorso presso la sala "BALLABIO" a Casteggio, (notate! sala Ballabio, penso che con Angelo Ballabio al timone in questi ultimi decenni, saremmo su una via ben più chiara e illuminata, ma questo è solo un pensiero mio) si è delineata una chiara presa di posizione della produzione a favore Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese.

E con questa polemica vorrei veramente chiudere. Sempre in occasione dell'assemblea sopra citata, durante lo spoglio delle schede, il direttore ci ha resi edotti dei passi fatti in merito alla modifica dell'attuale disciplinare di produzione, illustrando per l'ennesima volta le piramidi. Ahimè, francamente mi sembra di esser tornato alla seduta plenaria di Gennaio, e cioè: Oltrepo metodo classico, Pinot nero oltrepo, colli oltrepo rosso, colli oltrepo bianco, colli oltrepo barbera, colli oltrepo riesling, colli oltrepo croatina e ultimo ma non ultimo Bonarda. Modifica? In cosa? Mi sembra un riordino; è sicuramente un disciplinare più ridotto, razionale e schematico di quello esistente,che per contro è una conseguenza non ragionata, ma un susseguirsi di aggiunte, versioni e tipologie nel modo più caotico, poco pensato, frutto solo del "mi chiedono la barbera bianca, Ok, aggiungi", ma i cambiamenti?

La pecca maggiore di questo disciplinare è l'essere completamente orfano di un vino bandiera sotto il quale identificare la nostra zona; tutti i vini sopra citati concorrono in egual misura, con l'handicap di essere completamente slegati dal territorio, in quanto riconoscibili esclusivamente per il nome del vitigno o genericamente con Oltrepo. Mentre la bandiera deve essere una e riconducibilissima, immediata, sposata alla zona di produzione! Decidiamo quale una volta per tutte, se è vero come è vero che l'uvaggio oltrepadano ha risalito la china nei confronti del pinot nero (situazione auspicabile da chi scrive), dedichiamo a questo vino tutto ciò che si merita: disciplinare con il suo modello di produzione, ma soprattutto il nome! Assolutamente legato al territorio, non riproducibile. Non possiamo assolutamente schiodarci da questo punto, produciamo pure tutto, ma rendiamoci riconoscibili con una bandiera.

Ritorniamo a prendere in considerazione le due denominazioni, Casteggio e Rovescala, accantonate sembra, eppure a mio giudizio l'unica risorsa applicabile senza stravolgimenti di tipologie e versioni esistenti. Denominazioni indissolubilmente legate al territorio, e assolutamente NON riproducibili.

Lasciamo per favore perdere il campanile, solo persone completamente ignoranti e bigotte possono muovere proteste perché il loro comune di appartenenza non è citato, torno a ripetere (fino alla noia) che i produttori di Treiso e Neive sono ben contenti di produrre Barbaresco; così come quelli di Monforte, Serralunga, La Morra ecc…Barolo. Non guardiamo il nostro orticello, allarghiamo un tantino i nostri orizzonti di pensiero e quindi di vendita. Non a Los Ageles, ma solo a Como, i consumatori non sanno neanche se esistono Rovescala piuttosto che Montù B. o Castana, Borgo Priolo ecc… Quindi i nomi dei comuni di Casteggio e Rovescala saranno solo i loghi del nostro territorio, non saranno assolutamente più importanti perché citati. Sempre per parlare di Langa, Barolo nella fattispecie come comune, non è assolutamente più importante di La Morra, il quale per contro non soffre della benché minima sudditanza. Quindi ragioniamo in termini di nomi bandiera, il comune sarà fornitore del nome, solo del nome, che diverrà il logo di quella zona.

Soprattutto, per ovviare a questo problema nome, non tiriamo fuori dal cilindro nomi di fantasia quali (mi pare di aver sentito) "Barbarossa" per essere presi seriamente in considerazione con un nome del genere ci vorranno secoli. Sul tipo di uvaggio penso si possa essere d'accordo,, sicuramente quello tipico oltrepadano, e cioè: barbera croatina e uva rara, a oriente più spazio alla croatina, a occidente più spazio alla barbera. Evitabili i vitigni internazionali o migliorativi che siano, il loro uso poco ragionato potrebbe stravolgere i prodotti nella loro caratteristica di tradizione.

Vorrei un disciplinare rigorosissimo per quanto riguarda la produzione; mentre per la percentuale degli uvaggi non diamoci regole troppo restrittive, il vino non è matematica, come per contro alcuni vogliono farci credere. Vedo molto bene questo dualismo, sarà sicuramente una sfida che contribuirà ad elevare il livello qualitativo dei prodotti. Certo del fatto che, queste DOC rivoluzionarie, rinvigoriranno l'orso Buttafuoco, che, parzialmente in letargo, si darà una mossa contribuendo ad elevare il panorama vino O.P. Molti produttori che si stanno prodigando per una qualità vera, potrebbero decidere di mantenere in essere solo la versione riserva, proprio per dare più chiarezza e importanza alla sottozona.

L'O.P. è grande e vario, se ci pensate bene e lasciate per un momento da parte il vino che va per la maggiore in questo momento, (bonarda vivace) vi appariranno chiaramente delineate zone di produzione ben riconoscibili per un prodotto in particolare, e cioè: la prima fascia collinare vini Rossi, con gli uvaggi prima menzionati. Broni e comuni limitrofi con le colline adiacendi sono già riconosciuti con le sottozone Buttafuoco e Sangue di Giuda. Montalto Pavese è il centro di una serie di comuni dove con Oliva Gessi condivide la leadership del bianco d'annata, in futuro anche riserva.

La Val Versa si sa, è il regno del metodo classico, tenendo presente che l'alta valle, (Volpara) ha una storia presente e passata legata al Moscato da dessert.La zona più occidentale la allaccerei a Casteggio per la produzione del rosso omonimo. Un progetto di questa dimensione porterà una grande chiarezza, ognuno sarebbe libero di produrre ciò che crede, ma tenendo ben presente la bandiera della sua zona di produzione e dandole col tempo il valore aggiunto che si merita, manderà gradualmente a "farsi benedire" tutto il resto, e la Bonarda vivace sarà quel che è ora, un dignitosissimo "vino da lavoro" Dolcetto docet.

E' uno stravolgimento radicale? A questo punto della nostra storia si! ma se tornate a qualche decennio fa... con Angelo Ballabio non avremmo sposato i vitigni. Ho avuto modo, insieme con altri produttori, di discutere di alcune cose col direttore del Consorzio Tutela o.p. Carlo Alberto Panont, posso dire che non sono cadute nel vuoto. La mia impressione è che, chi ha argomentazioni costruttive da proporre, viene perlomeno ascoltato; i progetti futuri stanno prendendo forma, ma non sono così definitivi, si può interagire. Come dice il Direttore la denominazione è nostra, lavoriamo in modo tale da non doverci rammaricare un giorno delle scelte fatte, o peggio ancora di quelle evitate perché impegnative. Non possiamo a questo punto fare i "cerchio bottai" con ciò che abbiamo, ci abbisogna una soluzione radicale.

Cerchiamo di creare un progetto vino o.p. serio, anche se non immediato, partiamo anche molto lentamente, ma nella direzione giusta. Ho personalmente molta stima nei confronti dell'attuale direttore ed i suoi collaboratori, , reputo che gli stessi, con un serio progetto da proporre, (non la Bonarda style) ci renderanno visibili ed appetibili da un mercato che è ben oltre quello attuale.

Auspico un serio tavolo di discussione in merito, è difficile, si, ma se ci pensate neanche tanto.

Paolo Massone
Azienda Agricola Bellaria

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