30.07.2009 | Normative Inserisci una news

A proposito del Brunello. Riflessioni al termine delle indagini.

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Questo testo, che presentiamo al fine di stimolare la discussione su un argomento che tocca tutti da vicino, sarà pubblicato dal Corriere Vinicolo del 31/08/2009. Ringraziamo il settimanale, in chiusura estiva, per l’anticipazione.

Non c’è bisogno di andare sino in Afghanistan per incontrare i talibani. Nel mondo della comunicazione del vino ci sono e in questi giorni, dopo la chiusura delle indagini sul Brunello, stanno lanciando un’offensiva a largo raggio in cui, come al solito (sic), quello che prevale è più la voglia di gridare “al rogo, al rogo” piuttosto che il “solito” pacato ragionamento sugli avvenimenti di questi mesi.

 

Intanto qualche premessa è d’obbligo. Chi ha infranto la legge, deve pagare le conseguenze. Non credo ci sia discussione su questo principio. Il problema è che i molti che invocano la gogna hanno scambiato un rinvio a giudizio o un comunicato della Guardia di Finanza, per una sentenza passata in giudicato. La Procura di Siena ha svolto le sue indagini, ora tocca alla difesa degli imputati parlare. Basta leggere la cronaca giudiziaria quotidiana per sapere che gli impianti accusatori, anche i più apparentemente solidi, non sempre ma spesso sono destinati ad essere notevolmente ridimensionati nel corso del dibattimento. Insomma per tirare davvero le somme, bisognerà aspettare la fine del processo. Il resto sono chiacchiere da blog. Purtroppo però – visti i tempi della nostra giustizia - se ne parlerà tra qualche anno. Nel frattempo vorrei provare a riflettere. Ecco qualche spunto.

 

1) Il grandioso successo di Montalcino e del Brunello consiste nell’essere passati, in un periodo abbastanza breve, dalle 100.000 bottiglie dei primi anni Settanta dello scorso secolo, alle circa 7 milioni dei nostri tempi (annata 2004). In poche parole in quasi 40 anni, la produzione-vendita è cresciuta di 70 volte. Tutto ciò è potuto avvenire perché agli storici produttori degli anni Settanta si sono affiancate moltissime nuove aziende, tanto che oggi sono diventate 250 (delle quali 200 imbottigliano). A ciò va aggiunto che Montalcino si è sempre più affermata come patria di grandi vini. Sminuire il ruolo delle grandi aziende in relazione al processo di crescita, esaltando le sole piccole realtà d’eccellenza, ha il respiro cortissimo e non rende giustizia ad entrambe. I talebani però in questa contrapposizione ci sguazzano e, vecchio vizio della critica enologica italiana, tentano continuamente di allargare ila distanza tra grandi e piccoli. Una logica che nei fatti divide il nostro mondo tra produttori buoni e cattivi, mettendolo artatamente in contrapposizione, dimostrando così di non comprendere le specificità del mercato globale dove l’immediata suggestione non è la dimensione dell’impresa, grande o piccola, ma se è italiana, cilena, sudafricana o australiana. Una cosa è certa, quel Brunello “taroccato” piaceva e pure molto, e ha dato a tutti la possibilità di crescere e di sviluppare il territorio. Possibile che questo non voglia dire nulla? Oppure si pensa che gli stranieri siano tutti degli stupidi o incapaci?

 

2) La tradizione del Brunello non è conservatrice come si vuol far credere, tutt’altro. Non a caso il Brunello è nato da una rottura degli schemi produttivi vigenti nell’Ottocento, appiattiti sull’impostazione chiantigiana, preponderante nel mondo del vino toscano di allora. La vinificazione separata del sangiovese era chiaramente una innovazione quasi rivoluzionaria e come tale era l’eccezione ma non la regola (vedi anche Bettino Ricasoli) visto che la tradizione (chiantigiana) prevedeva l’impiego di uve bianche. Il Brunello di Montalcino, secondo l’attuale disciplinare Docg promulgato il 1° luglio 1980, deve essere ottenuto per il 100% da uve sangiovese. In passato però, non è sempre stato così. Infatti quando il Brunello era solo Doc, cioè dal 1966 al 1980, si ammetteva “la correzione con mosti e vini provenienti da altre zone nella misura massima del 10%”. Possibilità, come si diceva, successivamente esclusa con l’avvento della Docg; una scelta ancora recentemente riaffermata. Il Chianti, il Chianti Classico, il Vino Nobile oggi hanno dei disciplinari più elastici che non rendono i vini meno interessanti però lasciano maggiore libertà alle aziende. Infatti non mancano produttori che impiegano il solo sangiovese ma questi ultimi non impongono agli altri di fare lo stesso. Trovo saggezza e lungimiranza in questa impostazione.

 

3) La questione dei vigneti. Il 30 giugno 1993 l’assemblea del Consorzio fu chiamata per deliberare un piano triennale di espansione degli impianti per passare da 1240 ettari a circa 1480 fra Rosso e Brunello. In sostanza si volevano piantare 150 ettari di Rosso e 90 di Brunello. La proposta fu respinta quasi all’unanimità, perché ritenuta eccessiva. Solo 2 anni dopo venne approvato un piano congiunto consorzio istituzioni, che di fatto, insieme alla possibilità per i giovani agricoltori di impiantare ex novo (legge regionale 950/97) ha portato alla situazione attuale cioè a cinque volte di più di quanto in precedenza non era stato accettato. Ancora una volta programmazione e agricoltura sembrano concetti antitetici, la politica populista ha fatto il resto.

 

4) Il fenomeno degli imbottigliatori era sconosciuto a Montalcino, oggi non più. Sino a circa quattro anni fa è sempre stato al di sotto dell’1% del totale della produzione (mentre, per esempio, in Chianti Classico, la percentuale da sempre supera ampiamente il 50%). Ora, nell’arco di un breve lasso di tempo, la quota è arrivata a superare il 20%. Molti piccoli e medi produttori, contrari a qualsiasi cambiamento del disciplinare ma con le cantine piene e le tasche sempre più vuote, sono i primi ad alimentare questo mercato. Non è una constatazione moralistica ma un dato di fatto. Se prima si riuscivano a vendere 5 milioni di bottiglie su 7 milioni a quasi 30 Euro, oggi crisi finanziaria mondiale, superproduzione, abbassamento dei prezzi e accresciuto ruolo degli imbottigliatori, rendono quel prezzo un obiettivo “non così facile” da raggiungere. Per ultimo è bene rammentare che i pesi, tra grandi e piccoli, si distribuiscono in modo alquanto diverso: le contrazioni del mercato infatti colpiscono maggiormente i piccoli che hanno meno capacità di manovra e di tenuta generale.

 

5) Quanto è successo a Montalcino è anche il risultato di vecchie ruggini mai sopite tra le aziende, conflitti mai risolti tra grandi e piccoli, invidie e sospetti tra vecchi e nuovi, senza poi tacere le difficoltà commerciali dei tanti, soprattutto piccoli, ma non solo, che negli ultimi anni hanno avuto sempre maggiori difficoltà a vendere. La denuncia - una o più - che ha innescato l’azione della Procura di Siena nasce in questo contesto. Sotto questa pressione, anche mediatica, come spesso succede, il buon senso va a ramengo e allora bisogna aspettare che la situazione decanti. Aspettiamo fiduciosi di iniziare nuovamente a parlare di Montalcino, come di un territorio altamente vocato e del Brunello come di un grande vino.

 

6) Speriamo che la nuova 164 ( legge sulle denominazioni d’origine) tenga conto di quanto è accaduto in questi mesi e in questi anni. E’ un auspicio di tutto cuore per il vino italiano. Antinori, Frescobaldi, Casanova di Neri, Argiano, Banfi e gli altri, non sono dei delinquenti bensì il cardine che ha permesso a tutti di godere del successo del Brunello (e non solo di quello). Una cosa è sicura. Senza di loro a Montalcino non sarebbero mai nate 250 aziende. Bisognerebbe ricordarlo a chi piace segare il ramo su cui è seduto.

 

 ( Fonte Andrea Gabbrielli- Sito Acquabuona )

 

  OSSERVAZIONI DI WINETASTE

 

Inutile sottolineare che mi trovo in accordo al 100% con quanto scritto dall’amico Andrea  Gabbrielli, in merito alla questione Brunello di Montalcino. Un intervento sensato e lungimirante, senza alcuna preclusione concettuale e mentale.

Bravo Andrea e grazie del Tuo prezioso contributo.

Roberto Gatti

 


Tag: brunello, montalcino, siena, winetaste, gatti, talebani, indagine, procura, gabbrielli, acquabuona


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