11.12.2002 | Vino e dintorni

Vino, come continuare a garantire la qualità

(La Repubblica) Rapporto Piemonte. Il calo della produzione è del 40 per cento nel 2002. È una bella botta per le 40 mila aziende viticole della Regione. Stasi dell’export.

Per adesso è solo una nuvola all’orizzonte; un lieve calo delle vendite sui mercati stranieri, gli Stati Uniti e il Giappone, ma soprattutto la Germania, una vendemmia, che dopo sette annate eccezionali, ha pagato il prezzo di una estate fredda e piovosa. Piccoli segnali che fanno riflettere il mondo del vino piemontese dopo 15 anni di crescita vorticosa per qualità di prodotto e fatturato delle aziende. 

La vendemmia 2002 è stata una delle più difficili del decennio. Non un disastro: dopo un agosto piovoso, un mese di sole autunnale ha permesso alle uve, specie in alcune zone, di completare la maturazione. E così se alcuni dei produttori più noti come Roberto Voerzio di La Morra (5 stelle per la Guida dei vini Espresso), le cui vigne sono state devastate dalla grandine, con ogni probabilità, non produrranno Barolo in quest’annata, altri come Domenico Clerico di Monforte (altro 5 stelle) sono moderatamente ottimisti: «Abbiamo vendemmiato buone uve spiega e dalle bottiglie potrebbero venire delle sorprese positive». Ancora meglio potrebbe andare per l’altro grande vino piemontese, il Barbaresco, meno colpito dalle disavventure atmosferiche. 
Ma se la qualità è in parte, salva, poco si è potuto fare per la quantità. Il calo stimato nella produzione di uve, per il 2002 in Piemonte è di circa il 40 per cento: quasi 2 milioni di quintali in meno rispetto ai 4.554.000 prodotti nel 2001. 

Una bella botta insomma per le circa 40 mila aziende viticole della regione. Bruno Ceretto, titolare di uno dei marchi storici del vino piemontese, tra le poche aziende capaci di unire quantità (quasi un milione di bottiglie l’anno) e qualità, non è pessimista. «Non sarà una vendemmia a provocare la crisi. E la stasi delle esportazioni è contingente: appena ripartirà l’economia le nostre cantine si svuoteranno». Sono altri i motivi di preoccupazione: «Ad esempio, per produrre più Barolo si sono impiantate vigne dappertutto, anche dove non si dovrebbe. Così si rischia di abbassare la qualità media del prodotto e di danneggiarne l’immagine». 

Come dimostrano, a pochi chilometri di distanza, le vicende del Moscato e dell’Asti, i vini da dessert dei quali si producono quasi cento milioni di bottiglie l’anno (il Barolo nelle annate migliori non arriva a nove milioni). Per anni ambasciatori del Piemonte nel mondo, oggi sono in crisi (l’export nel 2002 è sceso del 5 per cento). «Quella crisi ha un nome spiega Ceretto ed è la poca attenzione alla qualità. Per il moscato saranno 50 le aziende serie, mentre dovrebbero essere 500». E l’Asti, se si escludono i grandi nomi, Martini e Cinzano o ancor più Contratto (il cui Asti De Miranda è il miglior vino italiano da dessert per la Guida del Gambero Rosso 2003), è considerato troppo spesso vino da supermercato. «Invece di 80 milioni di bottiglie da un euro, bisognerebbe farne la metà ma a 5 euro spiega Ceretto Ci guadagnerebbero tutti, produttori e consumatori. Ma c’è una responsabilità anche delle grandi catene di distribuzione che, a differenza di ciò che avviene in Francia, per il vino pensano solo al prezzo e non alla qualità». Ceretto denuncia un ultimo rischio: «Il successo del vino piemontese ha creato una sorta di carrozzone che cerca di promuoverlo in tutto il mondo: sopra c’è troppa gente. Si sprecano soldi e si ottengono pochi risultati commerciali. Bisogna che se ne faccia carico un unico ente, la Regione ad esempio, e che si investa sui due grandi eventi del Piemonte enogastronomico: il Salone del Gusto che porta a Torino tutto il mondo, e quello del Vino. 
Marco Trabucco

Fonte: LA REPUBBLICA - AFFARI E FINANZA

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