27.02.2002 | Vino e dintorni

Vite tra tipicità e Ogm

La questione biotech dopo la direttiva Ue che ha allarmato il Friuli. Sartori mette in guardia sul rifiuto della ricerca scientifica.

L’argomento Ogm è al centro dell’attenzione generale e delle polemiche per le sue possibili implicazioni anche in viticoltura. Inoltre, parlare di Organismi geneticamente modificati, pensare a catastrofiche conseguenze e associarvi discorsi sulla purezza della razza e sulla difesa dei geni originari, è una tentazione ricorrente. Un settore di attività, che può rappresentare una testimonianza qualificata e probante, è quello del vivaismo viticolo che in Friuli ha espresso realtà economicamente rilevanti, produzioni di eccellenza mondiale e anche personaggi di grande spessore professionale. Per cui arrivare a chiedere alcune opinioni a Eugenio Sartori, direttore dei Vivai cooperativi Rauscedo, nonchè presidente dell’Associazione regionale dei produttori di moltiplicazione della vite, è stata una conseguenza logica, anche perché spesso si confonde il concetto di clone con quello di Ogm, ma anche per la levata di scudi che c’è stata nel settore vitivinicolo dopo il varo da parte dell’Unione europea della direttiva che regolamenta la eventuale presenza di vini ottenuti da viti biotech, cioè geneticamente modificate. - Dottor Sartori, qual è la sua posizione? «Il clone in viticoltura deriva dalla moltiplicazione per via agamica di un individuo (ceppo) isolato all’interno della varietà: i discendenti del clone hanno lo stesso corredo genetico (tutti gli individui sono identici). L’Ogm è una cosa completamente diversa: mentre i cloni esistono in natura, nel caso degli Ogm bisogna, attraverso tecniche di ingegneria genetica, inserire nel Dna dei geni resistenti alle malattie, al freddo e così via. Nel caso della vite, quando si parla di varietà transgeniche, ci si riferisce a interventi che, per esempio, permettono di abbassare il livello degli interventi fitosanitari, quindi con un impatto ambientale molto più basso. Il tema, comunque, non va trattato semplicisticamente. E si può affermare che, in generale, non bisogna avere un atteggiamento di chiusura verso la tecnologia e la scienza, per cui l’argomento va affrontato sotto tutte le angolazioni». - Ci sono state però delle prese di posizione molto nette, che si rifanno all’esigenza di salvaguardare la tipicità. «In linea di principio siamo d’accordo sull’esigenza di difendere il patrimonio locale, ma oggigiorno bisogna dare anche la possibilità alla scienza di progredire, per fare un passo avanti nel campo della resistenza alle malattie, nel nostro caso della vite. E parliamo comunque di processi lenti e a lunghissima scadenza. Il rischio è che se l’Europa, in generale, non dà la possibilità della ricerca, non dico di impegnarsi, ma anche semplicemente di interessarsi agli Ogm, insomma di progredire, si finisca col perdere mercato nei riguardi degli altri paesi di nuova viticoltura, che sono aperti a recepire le indicazioni della tecnologia e della scienza e, anzi, in alcuni casi sono già dei temibili concorrenti». - A proposito di mercato, qual è la tendenza generale? «L'andamento del settore vivaistico continua ad avere un trend positivo, anche perchè si è andata affermando su scala mondiale la tendenza ad avvalersi per i vini di pregio di materiale di moltiplicazione della vite di qualità e supergarantito, sia dal punto di vista sanitario che genetico. E in questo particolarissimo mercato, come è stato anche affermato al 10º Salone della barbatella di Gorizia, Vite 2001, la nostra regione è leader assoluta. Infatti, su una produzione nazionale che è di 75 milioni di barbatelle, l’incidenza di quella regionale è di oltre 50 milioni di barbatelle innestate, pari al 70%; e sono cifre in evoluzione verso l’alto. Di questi 50 milioni, 34 sono venduti in Italia, 16 nel mondo, in oltre 20 paesi vitivinicoli. All’Associazione regionale fanno capo 15 aziende – 10 della provincia di Pordenone, 4 di Udine (soprattutto Percoto e Perteole) e una di Gorizia – con un leader indiscusso, la Vivai cooperativi Rauscedo, che incide per il 90% sulla produzione regionale». Giancarlo Re

FONTE: IL MESSAGGERO VENETO

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