23.11.2010 | Cultura e Tradizioni Inserisci una news

Venti secoli di Mediterraneo gourmet , da Apicio alla Riviera Ligure

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Il recente studio di un etnogastronomo genovese “svela” le eredità della cucina dell’antica Roma nella gastronomia ligure.

Dalla gastronomia romana, pur talora eccessiva per forme, quantità e sovrapposizioni d'ingredienti, giunge il profumo di un Mediterraneo che – caso per caso – privilegia olio, cereali, pesci, verdure... Un'arte culinaria che, attraverso venti secoli, si perpetua anche, tramite alcuni forti legami, nella fragrante cucina ligure di oggi. E' questa la tesi di "Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio in cucina", dato alle stampe dal genovese Umberto Curti, Presidente dell'Associazione Italiana Etnogastronomi.

L'autore ha analizzato l'opera a più mani attribuita ad Apicio, buongustaio vissuto sotto Tiberio, e figura-chiave per uno straordinario "dietro le quinte" di Roma imperiale. E il De re coquinaria (Manuale di gastronomia) rappresenta anche il miglior "dizionario" per partecipare alla cena di Trimalcione, nel Satyricon di Petronio Arbitro, evento di poco posteriore, e banchetto sempre evocato fra i più famosi e grotteschi d'ogni tempo (ne trasse perfino un film Federico Fellini).

Potrebbe sembrare che poco di quelle tavole sia transitato nell'attuale cucina ligure. Ma poi le eredità cominciano a farsi più individuabili. Al di là di alcuni eccessi delle classi agiate, e di alcune "combinazioni" alimentari che il tempo ha rifiutato, i Romani – tra una conquista e l'altra - furono pastori e contadini, grandi consumatori di pani e finger food, il resto proveniva dal mare e dall'impero, anzi dall'import. Risultano dunque verosimili, e indagabili, alcune analogie fra la loro tavola e la ligure. Così l'embractum è un antenato del ciuppin, il laganum è una sfoglia al forno che richiama la torta Pasqualina, il moretum secondo molti "prefigura" il pesto, dal garum di pesci fermentati sarebbe derivato il più mite machetto, salsa al mortaio a base di sardine. E quando si gusta la magnifica cima, chissà che non si debba qualcosa alla ricetta apiciana del pollo ripieno, la cui farcia conteneva uova, pinoli, cervella ed erbe aromatiche...

Fortunatamente, grandi differenze si rilevano viceversa tra quegli antichi vini e i nostri: oltre ad un'inquietante esperienza organolettica (si diluiva perfino con acqua marina), molte di quelle anfore custodivano infatti un contenuto che oggi risulterebbe anche di complessa assimilazione.

Il passato al cospetto del presente. Etnogastronomia significa percorrere le tradizioni alimentari nei loro aspetti culturali, approfondendo i loro legami col contesto che le ha generate. Con l'intento di svelare e salvare agricolture, usi, ricette, alla luce sia dello sfondo geografico e temporale sul quale esse si stagliano e si perpetuano, sia degli aspetti simbolici e delle evocazioni che esse realizzano. Perciò "Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio in cucina" è un racconto che scandagliando la storia può anche restituire qualcosa di quanto mai attuale. Come confermato anche dal completo e moderno glossario interpretativo della cucina romana accluso a fine volume.

Umberto Curti "Tempo mediterraneo. Quel che resta di Apicio in cucina"

Pag. 170 Ed. La Vigna, Genova, 2010 € 17,00

In libreria e su http://huineng.jimdo.com/la-vigna-di-hui-neng/


Tag: Ricette, Liguria, umberto curti, vini liguri, Associazione Italiana Etnogastronomi, Apicio


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